Era il marzo 1959 quando Palma Bucarelli, allora Direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, per aver esposto il Grande Sacco (1952) di Alberto Burri, provocò un’interrogazione parlamentare e un’incursione nel museo da parte dell’ufficio d’igiene. «L’emerita direttrice – tuonò in Parlamento il senatore Umberto Terracini – si affretti a nascondere ben lontano dagli occhi del pubblico l’indegna sozzura raccattata dalla gerla di uno spazzaturaio» (cfr. atti parlamentari del 10 aprile 1959).
Al tempo in molti non avrebbero mai immaginato che dopo quasi sessant’anni proprio l’autore di quel Grande Sacco sarebbe stato omaggiato con numerosi eventi volti a celebrarne il centenario della nascita. Una celebrazione che, avviata nell’ottobre 2014 con la mostra Rivisitazione. Burri incontra Piero della Francesca presso la Pinacoteca di Sansepolcro, è stata promossa e coordinata dalla Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri.
La Fondazione, sorta nel 1978 per volontà dello stesso artista a Città di Castello (sua città natale), è stata aperta al pubblico nel dicembre 1981 presso Palazzo Albizzini e dal 1990 è costituita anche dallo spazio espositivo degli Ex Seccatoi del Tabacco. Ed è proprio in questo secondo spazio espositivo che si tiene la mostra conclusiva del centenario, Burri. Lo spazio della materia / tra Europa e USA.
«Per ospitare questa significativa grande esposizione di opere di Burri e di 50 artisti europei e statunitensi (per un totale di 126 opere), sono stati museificati 6.297 nuovi mq degli Ex Seccatoi del Tabacco, (4.000 mq per spazi espositivi e 2.297 mq per due sale video, aule didattiche, bookshop e servizi)», sottolinea il curatore della mostra e Presidente dalla Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Bruno Corà, anticipando inoltre che questa terza sede «dopo l’evento espositivo in oggetto diverrà la sede permanente di tutta l’opera grafica di Burri, costituendo in tal modo il terzo museo Burri, così come da lui desiderato».
Questa mostra si propone di indagare i molteplici rapporti di Burri con le ricerche artistiche precedenti, coeve e successive, affermando al contempo il suo essere stato uno dei più innovativi artisti del secondo Dopoguerra che con l’impiego della materia ha ottenuto una spazialità inedita.
Laureatosi in medicina nel 1940, Alberto Burri durante la Seconda Guerra Mondiale operò come ufficiale medico e fu fatto prigioniero in Tunisia dagli americani per poi essere recluso nel campo di concentramento di Hereford (Texas) dove cominciò a dipingere. Dopo essere tornato in Italia, nel 1948-49, durante un viaggio a Parigi conobbe dal vero la pittura di Mirò, Fautrier, Dubuffet e degli altri esponenti dell’arte europea attivi in quella città. Se è certo che le sue numerose trasferte in USA gli permisero di confrontarsi con la pittura di Pollock, Motherwell, De Kooning e degli altri espressionisti astratti, mentre in Europa conobbe l’opera di Afro, Matta, Nicholson, Tàpies, Fontana, Capogrossi e Colla, è altrettanto vero che i suoi Catrami e i Sacchi costituirono un’importante fonte d’ispirazione per la generazione del New Dada americano (si ricordi ad esempio la visita di Robert Rauschenberg al suo studio nei primi anni cinquanta), così come i suoi Gobbi, le Combustioni, le Plastiche, i Legni e i Ferri furono assunti da modello di riferimento da artisti europei quali Klein, Rotella, Manzoni, Kounellis, Pascali, Pistoletto, Uncini, Arman, Christo. Inoltre, l’utilizzo da parte di Burri della materia come generatrice di spazio, che lo condusse durante gli anni settanta verso soluzioni monumentali e site specific (i Cretti e i Cellotex) e verso l’elaborazione dei Cicli, nel decennio precedente era già stata percepita e assimilata dalle ricerche statunitensi spazialiste e minimaliste di LeWitt e Serra, ma anche dai lavori di artisti europei quali Beuys, Kiefer, Sonnier e Mattiacci. Pertanto, come afferma Corà, sulle ricerche internazionali «l’opera di Burri ha certamente influito – ormai anche a detta degli americani stessi». Nel corso del suo operato infatti, prendendo le distanze dalle superfici pittoriche e dalla gestualità propri sia dell’Espressionismo astratto americano sia dell’Arte informale europea, divenne così l’anello di transizione tra collage e assemblaggio, nonché anticipatore, data la qualità tattile del suo lavoro, del Postminimalismo e del movimento artistico femminista degli anni sessanta, ma anche oppositivo (si vedano i suoi monocromi materici) rispetto ai concetti di adesione alla piattezza della superficie tipici del modernismo americano.
La mostra Burri. Lo spazio di materia / tra Europa e USA è volta a portare in luce proprio questi rapporti d’influenza, sviluppandosi in un percorso pressoché cronologico lungo dodici sale complanari e attigue nelle quali sono presentate opere di Burri (quali Texas, 1945, il primo dipinto da lui realizzato, e Grande Sacco, 1952), e di cinquanta artisti europei e statunitensi (tra cui il mobile, 1939, di Calder e il Composition with Black Pouring, 1947 ca., di Pollock). Le opere esposte coprono un arco temporale che va dal 1945 alla fine degli anni ottanta circa in quanto, spiega Corà, «in tale scorcio temporale da più parti si è osservato che l’arte di Burri, la sua pittura di materia, ma anche il magistrale dominio della spazialità equilibrata ha esercitato un’indiscutibile innovazione delle concezioni pittoriche favorendo la nascita e lo sviluppo di modalità linguistiche che hanno assunto caratteri distintivi come il New Dada, il Nouveau Réalisme, l’Arte povera e perfino il Minimalismo».
Oltre a ricostruire gli interessi di Burri per artisti più anziani di lui e i debiti nei suoi confronti da parte degli autori coevi e successivi, la mostra offre anche sale di approfondimento multimediale, eventi e incontri collaterali. Grazie a un prestito del Solomon R. Guggenheim Museum di New York, in una sala degli Ex Seccatoi è infatti possibile vedere il film di Petra Noordkamp Il Grande Cretto di Gibellina, mentre in una seconda sala di proiezione è prevista una programmazione di film relativi all’opera degli altri artisti presenti in mostra. Da sottolineare anche l’anteprima europea del balletto November Steps, ideato da Minsa Craig con scenografie originali del marito Alberto Burri, ed ora riadattato ed eseguito dalla Tom Gold Dance di New York: «Com’è noto – spiega Corà – la scena concepita da Burri per questo balletto consiste nella lenta ma dinamica formazione di un Cretto bianco proiettato sul fondale davanti a cui si svolgono i movimenti dei danzatori».
Infine un secondo percorso espositivo è volto a visualizzare con tecniche multimediali i contesti culturali e i documenti relativi a tutti gli artisti esposti in modo da facilitare la comprensione del periodo storico approfondito dalla mostra. Ma è soprattutto l’ampio catalogo pubblicato per l’occasione, con interventi introduttivi di Bruno Corà e di Richard Armstrong (Direttore del Solomon R. Guggenheim Museum di New York) e con saggi critici (di Thierry Dufrêne, Aldo Iori, Italo Tomassoni, Paola Bonani, Adachiara Zevi, Mario Diacono, Pietro Bellasi, Francesco Tedeschi, Luigi Sansone, Chiara Sarteanesi, Petra Richter, Denys Zacharopoulos) a fornire ampi approfondimenti e spunti di indagine sull’argomento.
Burri. Lo spazio di materia / tra Europa e USA costituisce così non solo l’atto conclusivo del centenario della nascita di Burri (tra cui si ricordano la realizzazione del Catalogo Generale della sua opera in sei volumi e la grande mostra Alberto Burri. The Trauma of Painting aperta nell’ottobre 2015 al Solomon R. Guggenheim Museum di New York e poi trasferita al museo K21 di Düsseldorf nel marzo 2016), ma anche l’anello di congiunzione tra i due tagli critici adottati dalle numerose iniziative che l’hanno preceduta: il taglio analitico (cioè di approfondimento su Burri) e sintetico (cioè di confronto tra Burri e gli altri artisti).
Dopo i molteplici eventi del centenario probabilmente lo stesso parlamentare Umberto Terracini che nell’aprile 1959 aveva definito il Grande Sacco un’«indegna sozzura» avrebbe compreso il valore della ricerca di Burri non solo nell’ambito della sperimentazione artistica coeva o di poco successiva, ma anche per i più giovani talenti italiani e non. «L’aspetto più attuale di Burri che indicherei a insegnamento dei giovani artisti, ma anche dei non più giovani, è la sua libertà, il rigore estetico e la tensione etica mai abbandonati”, afferma infatti Bruno Corà, e noi con lui.
Arte e Critica, n. 86/87, autunno – inverno 2016/2017, pp. 66-69.
BURRI. A JOURNEY BETWEEN EUROPE AND THE USA ONE HUNDRED YEARS AFTER HIS BIRTH
It was March 1959 when Palma Bucarelli, the then director of the Galleria Nazionale d’Arte Moderna in Rome, for having exhibited the Grande Sacco [Large Sack] (1952) by Alberto Burri, caused a parliamentary interrogation and an incursion into the museum by the public health office. “The emeritus director,” senator Umberto Terracini thundered in Parliament, “Hasten to hide very far from the eyes of the public the indecorous filth picked out of the dustman’s sack” (cfr. Parliamentary proceedings dated 10 April 1959).
At the time many people would have never imagined that after almost sixty years, the very creator of that Grande Sacco would have been honoured with several events aimed at celebrating the centenary of his birth. A celebration that started in October 2014 with the exhibition Rivisitazione. Burri incontra Piero della Francesca [Revisitation. Burri meets Piero della Francesca] at the Pinacoteca in Sansepolcro, was promoted and coordiniated by the Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri.
The Fondazione, founded in 1978 by the will of the artist himself in Città di Castello (his hometown), opened to the public in December 1981 at Palazzo Albizzini and since 1990 it has also included the exhibition space of the Ex Seccatoi del Tabacco. And it is precisely in this second space that the final exhibition of the centenary, Burri. Lo spazio della materia / tra Europa e USA [Burri: The Space of Matter / Between Europe and the USA] is held.
“In order to host this significant major exhibition of works by Burri and 50 European and US artists (a total of 126 works), 6,297 new square metres of the Ex Seccatoi del Tabacco have become museum (4,000 square metres for exhibition spaces and 2,297 square metres for two video halls, teaching rooms, bookshops and facilities),” as the curator of the exhibition and President of the Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Bruno Corà, highlights, revealing in addition that this third premises “after the exhibition event in question will become the permanent premises of Burri’s entire graphic work, thus creating the third Burri Museum, as he wished.”
This exhibition sets out to investigate Burri’s various relationships with previous, coeval and subsequent artistic research, at the same time affirming his having been one of the most innovative artists of post-World War II who with the use of material obtained a new spatiality.
Having graduated in Medicine in 1940, Alberto Burri, during the Second World War, served as a medical officer and was taken prisoner in Tunisia by the Americans to then be confined to the concentration camp of Hereford (Texas) where he started painting. After coming back to Italy, in 1948-49, during a trip to Paris, he encountered in person the painting of Mirò, Fautrier, Dubuffet and other exponents of European art active in that city.
If it is certain that his numerous trips to the USA allowed him to establish a relationship with the painting of Pollock, Motherwell, De Kooning and the other abstract expressionists, while in Europe he met the work of Afro, Matta, Nicholson, Tàpies, Fontana, Capogrossi and Colla, it is equally true that his Catrami [Tars] and Sacchi [Sacks] series became an important source of inspiration for the generation of the American Neo-Dada (remember for instance the visit of Robert Rauschenberg to his studio in the early fifties), as well as his Gobbi, Combustioni, Plastiche, Legni and Ferri [Hunchbacks, Combustions, Plastics, Woods and Irons] series that were taken as a reference model by European artists such as Klein, Rotella, Manzoni, Kounellis, Pascali, Pistoletto, Uncini, Arman, Christo. In addition, Burri’s use of the material as generator of space, which during the seventies led him towards monumental and site-specific solutions (the Cretti and the Cellotex series) and towards the elaboration of the Cicli [Cycles] in the former decade had been already perceived and assimilated by United States spatial and minimalist research by LeWitt and Serra, but also by the works of European artists such as Beuys, Kiefer, Sonnier and Mattiacci. Therefore, as Corà states, “Burri’s work has certainly influenced – now also according to the same Americans” the international research. During his working activity in fact, distancing himself from the pictorial surfaces and the gestural character typical of both American Abstract Expressionism and European Art Informel, he became thus a transition link between collage and assemblage, as well as a forerunner, given the tactile quality of his work, of Post-minimalism and the feminist artistic movement of the sixties, but also in contrast with (see his material monochromes) the concepts of acceptance of the flatness of the surface typical of American Modernism.
The exhibition Burri. Lo spazio di materia / tra Europa e USA aims to bring to light precisely these relationships of influence, developing in an almost chronological path along twelve coplanar and adjoining rooms in which works by Burri (such as Texas, 1945, his first painting and Grande Sacco, 1952) and by fifty European and US artists (among which the mobile, 1939, by Calder and Composition with Black Pouring, 1947 ca, by Pollock) are displayed. The exhibited works cover a period of time ranging from 1945 to approximately the end of the eighties, as, Corà explains, “in this time span many people have observed that Burri’s art, his material painting, but also the masterful handling of balanced spatiality has carried out an indisputable innovation of the pictorial conceptions, fostering the creation and development of linguistic modes that have taken on distinguishing features such as Neo-Dada, Nouveau Réalisme, Arte Povera and even Minimalism.”
Besides reconstructing Burri’s interests in artists older than himself and the debts owed to him by coeval and subsequent artists, the exhibition also offers halls for multimedia in-depth study, collateral events and meetings. Thanks to a loan from the Solomon R. Guggenheim Museum in New York, in a room of the Ex Seccatoi it is in fact possible to see Petra Noordkamp’s film, Il Grande Cretto di Gibellina [The Large Crack of Gibellina], while in a second projection room there will be a film scheduling regarding the work by the other artists present in the exhibition.
Also worthy of being highlighted is the European preview of the ballet November Steps, conceived by Minsa Craig with original set designs by her husband Alberto Burri, and now adapted and performed by Tom Gold Dance of New York: “As is known,” Corà explains, “the setting conceived by Burri for this ballet consists of the slow but dynamic formation of a white Cretto projected on the background in front of which the movements of the dancers occur.”
Finally, a second exhibition path aims to visualize through multimedia techniques the cultural contexts and the documents concerning all the artists on show, so as to facilitate the understanding of the historical period analysed by the exhibition.
But it is especially the wide-ranging catalogue published for the occasion, with introductory texts by Bruno Corà and Richard Armstrong (Director of the Solomon R. Guggenheim Museum in New York) and critical essays (by Thierry Dufrène, Aldo Iori, Italo Tomassoni, Paola Bonani, Adachiara Zevi, Mario Diacono, Pietro Bellasi, Francesco Tedeschi, Luigi Sansone, Chiara Sarteanesi, Petra Richter, Denys Zacharopoluos) that provides broad in-depth studies and ideas for investigation on the subject in question.
Burri. Lo spazio di materia / tra Europa e USA is thus not only the conclusive act of the celebrations of the centenary of Burri’s birth (among which we remember the edition of the General Catalogue of his work in 6 volumes and the major exhibition Alberto Burri. The Trauma of Painting, opened in October 2015 at the Solomon R. Guggenheim Museum in New York, and then transferred to the museum K21 in Düsseldorf in March 2016), but is also the joining link between the two critical slants adopted by the various initiatives that preceded it: the analytical slant (namely the in-depth study on Burri) and the synthetic slant (namely the relationship between Burri and other artists).
After the various events for the Centenary, probably the MP Umberto Terracini, who in April 1959 defined the Grande Sacco an “indecorous filth,” would have understood the value of Burri’s research not only in the field of coeval or slightly later artistic experimentation, but also for the younger and not-so-young Italian talents. “The most topical aspect of Burri that I would indicate as teaching for the young artists, but also for the not so young, is his freedom, the aesthetic rigour and the ethical tension that have never been abandoned,” Bruno Corà states, and we join him in that.
Arte e Critica, n. 86/87, Autumn – Winter 2016/2017, 66-69.