Dopo aver riproposto i volumi di Carla Lonzi Autoritratto, Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Sputiamo su Hegel, Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra, la casa editrice et al. ha pubblicato più recentemente una raccolta pressoché completa dei suoi scritti sull’arte.
Una scelta che, per stessa ammissione di Laura Iamurri, una delle curatrici del volume assieme a Lara Conte e Vanessa Martini, nasce come conseguenza di un ritorno d’interesse per la figura e l’opera della scrittrice fiorentina dovuta anche al convegno Taci, anzi parla. Carla Lonzi e l’arte del femminismo che la Casa Internazionale delle Donne di Roma le ha dedicato un paio di anni fa, riaffermando il valore di un’opera che, travalicando la critica d’arte, ha affondato le radici in una più ampia condizione esistenziale e in un animato impegno sociale.
Carla Lonzi. Scritti sull’arte è il titolo della raccolta che riunisce i testi elaborati in differenti occasioni: dalla collaborazione con il quotidiano «Il Paese», che ha segnato il suo debutto nella critica d’arte, alla lunga collaborazione con «L’Approdo letterario», dalle molteplici presentazioni nei cataloghi delle mostre della galleria Notizie di Luciano Pistoi alle interviste apparse su «Marcatré». Una raccolta di testi caratterizzati da differenti intenti, dunque, da quelli di ricostruzione storica a quelli più divulgativi, da quelli più attenti all’ambito specifico del mondo dell’arte contemporanea ai più noti ed innovativi Discorsi, apparsi sulla rivista fondata da Eugenio Battisti. Un corpus che consente di ripercorrere l’excursus professionale ed esistenziale di una figura che ha attraversato un’epoca storica densa di tensioni culturali e di conflitti sociali.
Proprio alle interviste realizzate per «Marcatré» nella seconda metà degli anni Sessanta, e soprattutto alla loro riproposizione in Autoritratto, un volume pubblicato da De Donato nel ’69, si deve la notorietà di Carla Lonzi. Le interviste, rivolte ad alcuni dei più giovani, e meno giovani, artisti in voga in quegli anni, erano state riproposte, però, con la particolarità di essere state sezionate, smontate e rimontate liberamente, in modo che domande e risposte, intrecciandosi in un’unica inedita conversazione, acquisissero nuovo valore. Un assieme fatto di accostamenti a volte dissonanti, apparentemente incongruenti, di rivelazioni quotidiane al limite del privato, racconti interrotti e ripresi con evidenti scarti nella consecutio narrativa, ma un assieme da cui scaturivano nuovi significati capaci di rendere, come in un ologramma, le tensioni e le passioni di quegli anni.
Attorno a questa operazione prese corpo la personalità intellettuale di Carla Lonzi che, dopo aver fatto, nel corso degli anni Cinquanta, lunghi esercizi di lettura sull’opera d’arte moderna e sulle tematiche a essa legata, iniziò a vivere gli umori e i sentimenti di un periodo contraddistinto dalla messa in discussione dei principi d’autorità su cui si basavano, per tradizione, tutti gli istituti culturali.
Già la formula in sé dell’intervista, con quel tono dimesso da occasione conviviale, assumeva un significato particolare. Dare la parola all’artista, in definitiva, significava sottrarlo all’azione del critico che d’autorità attribuiva significato all’opera, ne riconosceva il valore. È in quegli stessi anni che appare Against Interpretation, in cui Susan Sontag difendeva il valore dell’atto creativo da quella che in definitiva era considerata la vendetta dell’intelletto sull’arte, cioè appunto l’interpretazione. Questo per sottolineare come, in quegli anni, da più parti, ci si cominciava a interrogare sui ruoli, sulle funzioni, sui fondamenti stessi della cultura.
Quelle interviste-dialogo rappresentavano il tentativo, per molti versi riuscito, di dare delle risposte a quelle problematiche: a quale funzione dovesse assolvere il critico, quale possibile rapporto stabilire con l’artista, come considerare l’opera. Con quelle interviste, Carla Lonzi smetteva di porsi di fronte all’opera e, con una mossa quasi a sorpresa, si disponeva al fianco dell’artista, scegliendo di stare dalla sua parte. Lasciava la penna giudicante per assumere il neutro registratore vocale. Posizione tutt’altro che facile, tutt’altro che comoda, ma assunta con grande consapevolezza.
Nella raccolta degli scritti si trovano più volte, e in diverse occasioni, momenti di riflessione su tali temi. Ma in due circostanze, in particolare, l’autrice si impegna in una più lunga riflessione: la prima, nel ’63, con un testo dal titolo quanto mai espressivo, La solitudine del critico, e la seconda nel ’70, con un altro testo dal titolo ancor più espressivo, La critica è potere.
Con La solitudine del critico Carla Lonzi esprime consapevolezza per la condizione storica in cui il critico si ritrova, e allo stesso tempo indica l’errore nel quale non bisogna cadere. L’abbrivio è esplicito: «Mi è accaduto spesso, dalla posizione di critico non ufficiale che ho assunto, di constatare fino a che punto gli artisti considerino i critici in modo strumentale e come in sostanza li ritengano una categoria estranea al loro lavoro e alle loro preoccupazioni». Carla Lonzi non cerca una relazione ufficiale tra critico e artista, cerca una nuova posizione, un rapporto vero e autentico con l’artista, con l’opera. Lo cerca con pertinacia sul corpo vivente dell’arte, discutendo del sistema stesso dell’arte. Per sette anni continua a lavorare, continua a riflettere sulle relazioni interne all’arte, sempre con consapevolezza, con lucidità – una lucidità che sorprende ancor’oggi – fino a quella manifesta presa di coscienza rappresentata da La critica è potere: «Durante questa cosiddetta crisi, la critica d’arte ha esteso il suo ambito dall’interpretazione dell’opera all’interpretazione stessa dell’arte. Non avendo potuto smentire di essere una mediazione al servizio della società, il critico è passato al contrattacco dicendo: ma in fondo anche l’arte che cos’è».
Per lei che aveva deciso di porsi al fianco dell’artista, di trovare nell’opera una autenticità in grado di dare delle risposte, quella nuova condizione doveva essere intollerabile: «Personalmente – scrive nel ’70 – preferisco parlare dell’artista che in questo momento mi sembra il dato primario con cui abbiamo a che fare, poiché è fin troppo evidente che l’arte è pur sempre una categoria culturale».
Ma è su questa consapevolezza, che «l’arte è pur sempre una categoria culturale», che con molta probabilità Carla Lonzi decide di abbandonare la critica d’arte e di intraprendere un’altra battaglia. Se si doveva impegnare per rifondare una categoria culturale, per smascherare equivoci, per rompere consuetudini, per denunciare luoghi comuni, voleva farlo per qualcosa di capitale importanza… E si aprì così una nuova stagione d’impegno per la rivolta femminile.
Arte e Critica, n. 71, giugno – agosto 2012, p. 65.