Dal Teatro-Immagine alla Post-avanguardia. Nuovo Teatro in Italia negli anni Settanta

LA STORIA DEL TEATRO, FRA LE VARIE ARTI, È SPESSO UNA STORIA RACCONTATA AL BUIO: PER LO PIÙ SENZA LA TESTIMONIANZA DELLE IMMAGINI. SAREBBE DA CHIEDERSI PERCHÉ IL NUOVO TEATRO D’AVANGUARDIA, IN ITALIA, NON ABBIA SENTITO IL BISOGNO DI DOCUMENTARE CIÒ CHE ANDAVA REALIZZANDO; MA D’ALTRA PARTE CHE IMPORTANZA POTEVA AVERE UN FUTURO ANCORA DA COSTRUIRE? AL CONTRARIO DI QUANTO ACCADE OGGI, IN CUI L’ANSIA DI COMUNICARE IMMEDIATAMENTE CIÒ CHE SI ANDRÀ FACENDO PRECEDE IL FATTO ARTISTICO CONDIZIONANDOLO (ANCHE LASCIANDO SEMPRE APERTA LA POSSIBILITÀ DI RIEDITARLO E CONTROLLARLO). PER RICOSTRUIRE LA STORIA DEL TEATRO D’AVANGUARDIA, DATE LE POCHE IMMAGINI ESISTENTI (GIÀ MOLTE RISPETTO AL PASSATO, MA ASSAI POCHE RISPETTO AL PRESENTE), IN ASSENZA O IN PRESENZA DEI DIRETTI PROTAGONISTI (ATTORI, REGISTI, COLLABORATORI, CRITICI, ECC.), DOBBIAMO AFFIDARCI AI TESTIMONI OCULARI DI QUEGLI SPETTACOLI. PER QUESTO LA TESTIMONIANZA DI ENZO GUALTIERO BARGIACCHI APPARE INSOSTITUIBILE PER RICOSTRUIRE LA SCENA TEATRALE ROMANA E TOSCANA TRA FINE ANNI SESSANTA E PRIMI ANNI OTTANTA, PER LA MOLE DEI DATI E LA CHIAREZZA DI SCRITTURA CON LA QUALE HA ELABORATO LA SUA ESPERIENZA1; PREMETTENDO CHE QUANDO SI PARLA DEL CASO ROMANO, TRA ANNI SESSANTA E SETTANTA, SI PARLA DI UNA TRA LE ESPERIENZE PIÙ AVANZATE DELLA RICERCA ARTISTICA INTERNAZIONALE.
BARGIACCHI, TROVANDOSI A ROMA PER LAVORO IN QUEI DECENNI, SVILUPPA UNA DOPPIA VITA CON LA SCOPERTA DELLA SCENA ARTISTICA E TEATRALE. INIZIA A SCRIVERE D’ARTE E TEATRO, COLLABORANDO A GIORNALI, RIVISTE E CURANDO MOSTRE. INOLTRE, NEL DECENNIO 1970-1980, PARTECIPA ALLA GESTIONE DEL TEATRO COMUNALE MANZONI DI PISTOIA, PORTANDO IN CITTÀ ALCUNE TRA LE PIÙ RILEVANTI ESPERIENZE DI RICERCA TEATRALI E MUSICALI ITALIANE E INTERNAZIONALI. DAL 1975 AL 1980 ORGANIZZA UNA SPECIFICA RASSEGNA, SVOLTASI ANNUALMENTE IN CINQUE EDIZIONI: TEATRO E MUSICA VERSO NUOVE FORME ESPRESSIVE (AL MANZONI); E IN COLLABORAZIONE CON GIUSEPPE BARTOLUCCI ORGANIZZA GLI INCONTRI INTERNAZIONALI ARTE-TEATRO, ITALIA-CALIFORNIA, A PISTOIA, NEL MAGGIO 1980.

Paolo Emilio Antognoli: Come nasce il suo interesse per il teatro?

Enzo Gualtiero Bargiacchi: Non mi interessava la messinscena tradizionale, la narrazione, la costruzione letteraria, ma l’idea che ne veniva fuori. Parlo degli anni ’60, in cui c’è la rincorsa a vedere tutto il cinema, il teatro, la cultura. Avevo questa sensazione, pensando fra l’altro a Lévi-Strauss che diceva: “A me il teatro non interessa, mi sembra di entrare in casa di qualcuno e assistere ai fatti degli altri”. Poi, alla fine di quel decennio, capito a Roma, dove rimango per gli anni ’70. Lì vedo ciò che non avevo mai visto rappresentato, come l’Ubu Roi al Beat 72, ma soprattutto percepisco la viva impressione delle cose nascenti, della freschezza creativa. L’Ubu Roi è il primo lavoro di Bruno Mazzali e del Patagruppo (con Rosa Di Lucia, Franco Turi, Marco Del Re, Antonio Obino, Giovanna Benedetto), va in scena il 15 marzo 1972.
Erano ragazzi, era qualcosa che nasceva allora. Mazzali aveva spinto anche Renato Mambor (che inventa la Trousse) a passare al teatro. L’anno dopo, nel ’72, con il Patagruppo, fecero La conquista del Messico di Artaud.

 

Patagruppo, La conquista del Messico, regia Bruno Mazzali, teatro Beat 72, Roma, gennaio 1973. Foto Giorgio Piredda
Patagruppo, La conquista del Messico, regia Bruno Mazzali, teatro Beat 72, Roma, gennaio 1973. Foto Giorgio Piredda

 

PEA: Che ne pensi della definizione di quell’esperienza come Teatro-Immagine datane da Giuseppe Bartolucci (che non ha mai trovato Mazzali concorde)?

EGB: Le etichette valgono quello che valgono, comunque non c’è dubbio che il teatro costruito da Mario Ricci, poi in vari modi proseguito e con grandi esiti fino alla metà degli anni ’70, avesse una forte valenza visuale.2 Bartolucci, sbagliando, non ha mai considerato Mazzali. Per questo giustamente rimproverato da Franco Cordelli.
Vedi quella foto bellissima sul libro che è un’opera d’arte, di Giorgio Piredda (fotografo stanziale al Beat 72). Al centro è Rosa Di Lucia, poi diventata un’attrice importante. A sinistra Marco Del Re e Antonio Obino a destra. Del Re, pittore, che vive a Parigi. Il fotografo ha centrato l’ombelico e ha ruotato la foto facendola diventare un mandala. Questa foto, per me, è importante, è rappresentativa di un’epoca, è il mandala dell’arte di quegli anni.
Ora ti racconto gli altri spettacoli. È un momento forte, perché negli anni ’60 nasce tutto: c’è la performance, c’è Fluxus… i richiami erano Artaud nel teatro, Duchamp nell’arte.
Che impressione vedere questi che costruivano sulla scena; non prendevano un testo e lo illustravano, c’era l’esplosione dell’idea teatrale, è questo che mi affascinò. A Roma non avevo mai tempo, tutte le sere c’era qualcosa. Erano decine poi centinaia i luoghi teatrali. C’era un fermento, una proliferazione di cantine e spazi teatrali.

PEA: Fabio Sargentini era stato il primo, nel 1968, a spostare la galleria (L’Attico) in un garage, precedendo i loft newyorchesi. Però c’era già a Roma l’idea di uscire dallo spazio deputato.

EGB: C’era un clima anche politico di effervescenza. C’è uno spirito dei tempi! Se pensi all’esplosione dei primi del Novecento, o al cupo degli anni Trenta. Dello spirito del ’68 cosa c’era? Lì vedo una tensione forte e un’intuizione: il rifiuto del consumismo, una voglia di cultura e di andare oltre, una ricerca quasi di assoluto. La ritrovo simbolizzata da quel libro di Robert Pirsig Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, un libro stranissimo, dove non c’entrava lo zen, non c’entrava la motocicletta, era un viaggio on the road nella mente di un personaggio che pensa alla qualità. Cos’è la qualità? Quasi un assoluto, una ricerca profonda, che allora c’era. Una voglia di andare oltre, uscire dal quadro, uscire dallo schema, dal teatro, dall’ambiente. Ma era una tensione morale, culturale. Che poi dopo abbia vinto il consumo, il mercato, è un altro discorso. Anche quel voglio tutto del ’68 esprimeva il senso di una necessità urgente.
Non era tanto il discorso della multidisciplinarietà. C’era una voglia di totalità, qualcosa che si costruisce assieme. Se ci pensi nel teatro c’erano i gruppi: Mazzali non esisteva, c’era il Patagruppo. Si voleva andare al di là dell’ego, e questo clima creava ambienti, creava stimoli, creava incontri.

PEA: Forse è questo che cambia dopo gli anni ’70? Anche nella fotografia di quel tempo c’è sempre una situazione collettiva, comunitaria, e poi non più.

EGB: Sì, c’era il gruppo. Se pensi al gruppo teatrale Il Carrozzone (poi Magazzini Criminali), i singoli nomi non si sapevano: era il gruppo che esprimeva la situazione dei valori.3

PEA: Torniamo dunque al Beat 72, in quella cantina dipinta di nero di via Belli 72.

EGB: Il Beat 72 è mitico perché all’inizio degli anni ’70 è venuta a maturazione una storia che aveva le basi nei ’60. Per il teatro, se ci pensi, nel 1959 iniziano Carmelo Bene, Claudio Remondi e Carlo Quartucci.
Nasce allora questo fenomeno straordinario del Nuovo Teatro italiano – che non è stato valorizzato abbastanza, perché in nessun posto del mondo c’era stata una scena di questa forza ed estensione. Inizia praticamente nel 1962 con Mario Ricci, a casa di Nello Ponente: lì prende avvio il cosiddetto Teatro-Immagine. Si dice che sia americano, con Bob Wilson e Richard Foreman (considerati i “padri fondatori”), in realtà nasce molto prima, proprio con Ricci (1932-2010).

PEA: C’era anche una collaborazione con gli artisti? Ho letto di Nato Frascà, ad esempio, Pasquale Santoro…

EGB: Sì, c’era collaborazione. Ne parla anche Achille Perilli, che in quegli anni era attivo nel teatro d’avanguardia. Il Nuovo Teatro nasce a Roma, come dice Quartucci, perché una banda di disperati dal Sud si era fermata lì. Dei pugliesi: Carmelo Bene, poi anche Barba, Leo De Berardinis, Simone Carella (anche Barba arriva dalla Puglia ma non si ferma a Roma). Poi i siciliani: Quartucci, Filippo Di Marca, ecc. Roma era un luogo vivo, aperto. Quindi nasce lì il grosso del fenomeno; poi ha un’appendice napoletana (con i Santella, con Vittorio Lucariello, fino ai giovani Toni Servillo e Mario Martone, ecc.) e inoltre toscana: Firenze con Pier’Alli e poi con Il Carrozzone.

PEA: Milano non era toccata da questo fenomeno?

EGB: Milano rappresentava il teatro ufficiale, il Piccolo, Strehler, e il teatro politico di Dario Fo. C’erano però le gallerie. Legato alle gallerie era Roberto Taroni e a Torino Gianni Colosimo, di grande valore, che nasce con Persano. Invece in Toscana ha seguito questi aspetti Roberto Peccolo, a Livorno.
Ma il centro era a Roma. Wilson veniva qui, Foreman, Peter Brook, poi Tadeusz Kantor, prima chiamato a Roma da Perilli, poi a Firenze. Il Living Theatre è in Italia ancora prima. Più avanti Sargentini porta il musicista indiano Paṇḍit Prân Nath accompagnato da Terry Riley, con La Monte Young.

PEA: Un fenomeno vasto.

EGB: Vastissimo. E anche le cose minori, marginali, avevano una grandissima ricchezza di idee. C’era di tutto: il gruppo Stella Rossa, il convento occupato… Potrebbe dirsi: sembri il vecchio legato alla sua epoca, ma non è questo! C’era davvero un’esplosione incredibile.
Se poi guardi a quanto incideva. Culturalmente tantissimo. Ogni giornale aveva tre critici teatrali: “La Repubblica” aveva Chiaretti per il teatro ufficiale, Nico Garrone e Rodolfo di Giammarco per il resto, e ogni giorno, sulla pagina nazionale e sulla pagina romana, trovavi il resoconto incredibile di quanto accadeva a livello teatrale… Il “Paese Sera” aveva Pagliarani per le cose più ufficiali, Franco Cordelli, che è rimasto l’unico testimone, e Andrea Ciullo. Tre critici! Il pubblico era limitato, anche perché i posti nelle cantine erano pochi, ma culturalmente questa presenza era fortissima.

PEA: Ma rispetto a ora? Se adesso lo spettacolo fa sette persone è considerato un fallimento.

EGB: Io ero, appunto, quello dei fallimenti! Mi trovo negli anni ’60 consigliere comunale a Pistoia. Mi batto per la cultura e conduco una grossa battaglia per il recupero del teatro alla gestione pubblica (era un teatro che viveva sul varietà il sabato e la domenica: si faceva la rivista e poi film di scarso interesse commerciale). Nella commissione che gestiva il teatro (iniziò a operare nel 1970) prevalevano i favorevoli agli spettacoli più tradizionali e io, seppur dopo gran lotte, riuscivo invece a portare spettacoli assolutamente innovativi, come A come Alice, di Giancarlo Nanni con Manuela Kustermann, poi il loro Risveglio di primavera; oppure gli spettacoli di Mario Ricci, tutti capolavori.
Ben presto tutti si accorsero che questi spettacoli richiamavano un numero molto minore di spettatori. E allora dovemmo trovare un accordo: le mie proposte si concentrarono in un’unica rassegna, che titolai Teatro e musica verso nuove forme espressive, che si svolse per cinque edizioni, dal 1976 al 1980. Tutte le esperienze italiane più significative degli anni ’70 sono passate da Pistoia: ho citato Ricci e Nanni, ma potrei aggiungere Vasilicò, Perlini, Patagruppo, Pippo Di Marca, ecc. Nelle rassegne, praticamente fisse le presenze di Leo e Perla Peragallo, Il Carrozzone, Gaia Scienza, Giancarlo Cardini, Alvin Curran.
Gli spettatori erano pochi, ma di qualità; ti potrei citare il giovanissimo Virgilio Sieni, che si è formato anche vedendo quegli spettacoli; veniva da Firenze Gaia Scienza, che all’epoca non potevi vedere altrove, se non a Roma o in rare rassegne, come la Settimana della performance di Bologna.
A questo riguardo è bene sottolineare l’importanza di rassegne e festival e dei luoghi, avere contezza della geografia culturale e performativa (si veda l’ampio indice nel libro). Così troviamo Salerno, per la presenza di Filiberto Menna e Achille Mango, oppure Cosenza (dove nel 1976 Beppe Bartolucci battezza la Post-avanguardia), per la presenza di Giorgio Manacorda, professore all’Università della Calabria e assessore comunista alla cultura di quel comune. Poi, come detto, c’è stata Pistoia per l’intero decennio ’70. Lì sembrava che dovessero fare una concessione a me per ospitare questi “disgraziati” amici miei, come li chiamavano, ma che erano Giuseppe Chiari, Giancarlo Cardini, Sylvano Bussotti… Oppure dei ragazzi, sì, ma erano Toni Servillo, Mario Martone.
A Pistoia ho organizzato Italia-California. Ero collegato con molti artisti, avevo in mente Pina Bausch. Invece finì lì, nel 1980. A un certo punto dissi basta.

 

Il risveglio di primavera, regia Giancarlo Nanni, con Manuela Kustermann, 1972. Foto Agnese De Donato
Il risveglio di primavera, regia Giancarlo Nanni, con Manuela Kustermann, 1972. Foto Agnese De Donato

 

PEA: Oggi si parla pochissimo di Bussotti, di Chiari (1926-2007), di Cardini, che all’epoca erano avanguardia.

EGB: Nel 1971-72 ho portato in teatro Chiari, che aveva proposto un trio di improvvisazione. Dovevano esserci lui, la Zaccagnini e Cardini. Poi al posto della Zaccagnini arrivò Alvin Curran e un contrabbassista jazz. Vennero al Manzoni con due pianoforti e una serie incredibile di oggetti e strumenti artigianali più o meno amplificati. Fu una cosa meravigliosa.
Cardini inizia con il pianoforte classico, poi si muove, si scatena, ci monta sopra, sotto, vengono fuori altre cose, ad esempio una padella. Curran gira nel teatro, suona la tromba, con un gioco e un’interrelazione fortissima. Aveva anche strumenti elettronici, un bidone con lastre amplificate. A un certo punto Cardini muove una sedia, che si incastra fra i pianoforti, e Alvin tira fuori il suono: carillon, altri oggetti. C’era un carillon che suonava, uno di loro prende un giacchetto jeans (doveva essere di Alvin) e lo chiude, lo smorza… dunque un’improvvisazione vera.
Curran e Cardini si sono conosciuti lì, sul palcoscenico. Fu bellissimo l’incontro. C’era improvvisazione, gioco ed era il clima del momento, anche in Inghilterra, in Olanda: Derek Bailey, Evan Parker. Nell’improvvisazione, che era una settore a sé, Londra in quel periodo, ’76-’77, era fortissima.

PEA: Diceva Chiari che l’improvvisazione è stata una battaglia persa, non essendo entrata in circolo dopo gli anni ’70…

EGB: A proposito invece di Cardini, proprio in quel periodo ho conosciuto il suo amico, Howard Skempton (1947), compositore inglese, e a Londra ho frequentato dei grandi come Gavin Bryars (1943), Michael Nyman (1944), che allora erano poveretti che suonavano nei foyers. I loro primi LP furono prodotti da Brian Eno con la sua etichetta Obscure Records (Londra 1975-78). Ricordo che nel 1977 quei dischi erano bloccati (frozen, come dicevano loro) per controversie legali fra le case discografiche…

PEA: Torniamo un momento al teatro romano, che succede?

EGB: Tutti questi influssi, dagli anni ’60, arrivano a maturazione all’inizio degli anni ’70, con il Beat 72, locale mitico fondato da Ulisse Benedetti. Carmelo Bene ci fa quattro spettacoli, lo trasforma (con Tonino Caputo lo tingono di nero, fanno una gradinata con dei banchi di scuola). Poi nel 1971, ad affiancare Benedetti, arriva Simone Carella (era stato assistente di Sargentini), che inventa i Lunedì della musica. In questa cantina ho conosciuto una cosa grandiosa che è la musica di Giacinto Scelsi.
Siamo nel 1972-73. Carella propose al Beat 72 una stagione teatrale con gli artisti con cui aveva rapporti. Mise insieme: Bruno Mazzali, che presentò La conquista del Messico con Marco Del Re; Giuliano Vasilicò con Le 120 giornate di Sodoma, a distanza di 2-3 mesi; poi Memè Perlini, che aveva già lavorato con Giancarlo Nanni e Manuela Kustermann (già attrice di Carmelo Bene).4 Egli propose di realizzare un suo spettacolo e Carella lo accolse concedendogli estrema fiducia. Perlini all’inizio annaspò, non sapeva come fare. Simone gli disse: “Guarda questa ragazza.” – era Rossella Or, che armeggiava con una chitarra, la quale diventò attrice e immagine simbolo dello straordinario spettacolo che ne nacque (Pirandello: chi?). Poi Memè scovò il sistema dell’inquadrare con i fari lo spettacolo che si svolgeva nel buio più assoluto, realizzando con questi flash uno spettacolo memorabile.
Questi tre spettacoli furono una pietra miliare del Nuovo Teatro italiano.

 

Le 120 giornate di Sodoma, regia Giuliano Vasilicò, teatro Beat 72, Roma, novembre 1972. Foto Giorgio Piredda
Le 120 giornate di Sodoma, regia Giuliano Vasilicò, teatro Beat 72, Roma, novembre 1972. Foto Giorgio Piredda

 

PEA: Che si può dire di questo spettacolo di Perlini?

EGB: Qualcosa di eccezionalmente peculiare e irripetibile, il “manifesto” assoluto di una comunicazione non più narrativa, ma visuale; pura opera d’arte.

PEA: Poi hai parlato di una svolta.

EGB: C’è stata una svolta a metà anni ’70. Si capiva che stava cambiando qualcosa. L’indirizzo allora è stato più radicale, verso la performance. Bellissima e importante la rassegna promossa dal Beat 72 che nel 1977 invase la città di Roma con il teatro nella piscina, in un sottopassaggio, su un cavalcavia e in altri luoghi. La rassegna è La città del teatro, a cura di Bartolucci, Benedetti, Carella e Cordelli.
Quindi, c’è anche una durezza: il senso che qualcosa cambiava. Da un lato l’indirizzo concettuale, dall’altro quello performativo – anche potente, ma si avvertiva la fine.

PEA: Questo verso il 1977-78?

EGB: Sì esatto, già a metà degli anni ’70 c’era stata una svolta. Prima dell’indirizzo più radicale e concettuale, avvenuto con il passaggio alla regia di Carella, il Beat 72 ripropose i due spettacoli già menzionati di Patagruppo e Vasilicò.

PEA: Quindi era già iniziato un periodo post, una sorta di ritorno: fece vedere qualcosa che c’era già stato?

EGB: Sì, quello che c’era già stato: una ripresa delle cose. Poi il Beat 72 passò ad altro, tant’è vero che Mazzali si trovò espulso dal nuovo giro. Benigni aveva iniziato al Beat ma non gli dettero più spazio e così nacque il Teatro Alberico, che, insieme alla grande sala, aveva anche l’Alberichino, dove esplose il successo di Benigni con Cioni Mario. E al Beat Simone Carella fece Autodiffamazione, nel 1976. Qui riporta i suoi miti, la sua storia; uno spettacolo senza attori, solo la sedia al centro del palco illuminata. Gli spettatori seduti su due file contrapposte. Una proiezione tra l’astratto e il figurativo, con uno schermo che si divide in quattro e che inquadra i movimenti di un allenamento di Steve Paxton; là c’è un video di La Monte Young al piano. E la piccola gradinata invece (quella costruita da Bene per gli spettatori) è coperta, chiusa.
Gli spettatori entrano da un’altra parte e si trovano dentro la sala dove si svolgeva lo spettacolo: quindi sei dentro lo spettacolo, la porta sbarrata da un telo con la proiezione del funerale di Pascali. Ecco, lo spettacolo è composto con questi richiami e la luce che si muove.5

PEA: Perché Carella richiamava il funerale anni dopo? Pascali era morto nel 1968.

EGB: Simone richiamava i suoi miti: La Monte Young, Majakovskij, Steve Paxton, Pascali. Con Sargentini c’era questo legame con Pascali.

PEA: Hai visto anche le cose di De Dominicis?

EGB: Certo. Nel libro la testimonianza di Simone è straordinaria. Se la leggi ti diverti, racconta del clima romano, di De Dominicis, della Biennale di Venezia del 1972. Sai, dopo ci fu un processo, furono accusati del sequestro del ragazzo down: De Dominicis era il mandante, ma Simone era l’esecutore, quello che aveva trovato il ragazzo…
Scrive Carella: “Ci siamo divertiti un sacco. Per es. alla Biennale quando cercavano qualcuno, veniva annunciato il nome all’altoparlante […]. Gino mi disse: ‘Sai che fai? Vai dal centralinista, offrigli 10 mila lire e chiedi di fare un annuncio tipo ‘l’artista Gino De Dominicis è desiderato al telefono’ o ‘chiamata intercontinentale per l’artista G.De Dominicis’ o ‘chiamata dal direttore del museo tal dei tali per G.De D.’. Convinsi il centralinista che si trattava di un’azione artistica. In giro c’erano molti che allestivano. Quindi quando sentivano l’altoparlante, tutti rimanevano stupiti. Il telefonista ci aveva preso gusto e lo faceva ogni cinque minuti. Era tutto un divertimento. Poi le battute…”

PEA: Hai detto che alla metà degli anni ’70 c’è stato un cambiamento. In che senso, si sentiva la stanchezza?

EGB: Nel mondo dell’arte il mercato aveva bisogno della solidità del prodotto, ma onestamente dobbiamo dire che molte operazioni artistiche erano diventate stanche, ripetitive, accademiche. Perché a fronte di artisti che esprimevano davvero il loro mondo interiore, tanti altri si adeguavano alle tendenze in voga con tempismo esagerato. Nel teatro il discorso è stato diverso. C’è stata un’esplosione, un interesse e anche un piccolo sostegno a favore della sperimentazione (con cui in qualche modo si riusciva a sopravvivere). Poi, a un certo punto, c’è stata la radicalizzazione di alcuni. Penso a un personaggio per me straordinario come Benedetto Simonelli.6 Da artista puro, era romanticamente e totalmente preso dalla sua spinta creativa, capace di lavorare un anno per preparare qualcosa che risulta poi eccezionale combinazione di strenuo e rigoroso lavoro preparatorio e di viva improvvisazione, ma che si brucia irrimediabilmente nell’atto stesso della sua realizzazione. Ma come sopravvivi con una spinta radicale di questa portata? La radicalità non la reggi in un mondo che sta cambiando. E stava cambiando il clima, con forti ripercussioni sulla vita di tanti artisti. Lo racconta bene il film di Matteo Garrone, Estate romana, un film da vedere. È un omaggio al padre Nico, critico teatrale e scrittore. E poi non c’era solo il problema della sopravvivenza, arriva anche la droga.

PEA: Allora cosa succede?

EGB: Cambia tutto. Inizia la stagione del post-moderno. Bartolucci inventa la Post-avanguardia, la Nuova spettacolarità, perché il mondo andava verso lo spettacolo, rispondeva al richiamo di quello che avveniva negli Stati Uniti.
La performance non era più di moda nelle gallerie d’arte. Allora cosa si fa? Ci si sposta verso lo spettacolo. Occorre avere un prodotto da vendere. Così Laurie Anderson fa spettacoli e dischi.

PEA: A proposito della Post-avanguardia, abbiamo accennato a La Gaia Scienza.7 Che ne pensi invece del percorso de Il Carrozzone (poi Magazzini Criminali) in questo contesto di cambiamento?

EGB: Hanno sempre avuto una grande ansia di cambiamento, dalla lentezza esasperante de La donna stanca incontra il sole, dai richiami mitici, alla messa in scena di idee maturate nelle arti visive, nell’affascinante Visioni di Porto Said, alla “gestualità coatta” di Crollo nervoso. Nel novembre 1980, presentano Ebdomero n.2, al Rondò di Bacco di Firenze. Poi nel 1985 i Magazzini Criminali divengono Magazzini, per trasformarsi infine in Compagnia Lombardi Tiezzi…

 

Magazzini Criminali (ex Carrozzone), Crollo nervoso, Teatro Comunale Manzoni, Pistoia, 11 maggio 1980, Incontri internazionali Arte-Teatro 1 (Italia-California), a cura di E.Bargiacchi e G.Bartolucci © Archivio Gianni Melotti, Firenze

 

PEA: Dunque si avverte il cambiamento; anche Sargentini allaga il suo spazio e si occupa d’altro…

EGB: Sono interessanti quegli anni di fine Settanta, perché con il 1980 cambia il mondo in tutti i sensi. Nell’arte si ha il ritorno alla pittura… Celant nobilita la moda legandola all’arte. Nel suo piccolo, anche il teatro si allinea. È significativo il fatto che in occasione del concerto per Demetrio Stratos il “Corriere della Sera” titolasse: “70 mila spettatori”. Ciò segna un’epoca e prelude alla fine.

PEA: Inizia il riflusso.

EGB: Anche l’invenzione straordinaria di Nicolini, l’Estate romana, andava verso la spettacolarizzazione. Quel clima reagiva al terrorismo – prima non si usciva, dopo tutti fuori e giù al Massenzio fino al Festival dei poeti. Poi, nel 1979, crolla tutto come fuochi finali. Dentro questa storia artistica però c’è anche qualcosa di più, c’è una continuità con il vissuto…

Arte e Critica, n. 90, autunno 2017, pp. 26-34. 

1. Enzo Gualtiero Bargiacchi (Pistoia 1939), autore e curatore di un libro recente, prezioso, Cento storie sul filo della memoria. Il “Nuovo Teatro” in Italia negli anni ’70 (a cura di E.G.Bargiacchi e R.Sacchettini, Titivillus, 2017), e organizzatore, nel giugno scorso, di una giornata di studi a Pistoia dal titolo Il Nuovo Teatro: ieri, oggi e domani, è stato testimone della scena romana nel momento dell’esplosione del teatro di ricerca e del fenomeno delle cantine, ossia degli spazi alternativi trasformati in teatro e laboratorio, quali, fra gli altri, il Beat 72.
2. Mazzali diceva, intervistato da Bargiacchi, che “la drammaturgia del teatro si costruisce sul palcoscenico, nasce sul palcoscenico, non è un testo esterno”. Il testo lo si usa, ma la testualità vera “si crea sul palcoscenico”. La definizione di “Teatro-Immagine” si riferisce a spettacoli caratterizzati da un visionarismo onirico, dalla fascinazione per l’azione scenica. Un teatro “da vedere”, affidato a una drammaturgia prevalentemente visiva.
3. Il Carrozzone (1972), poi Magazzini Criminali e in seguito semplicemente i Magazzini, era formato da Federico Tiezzi (regista), Marion d’Amburgo (attrice) e Sandro Lombardi (attore), come nucleo originario a cui sono da aggiungersi altri componenti fra cui Pier Luigi Tazzi. Cfr. R.Bonfiglioli, Frequenze barbare. Teatro / Ambiente / Cinema / Mass Media / Metropoli / Musica / Pornografia nel Carrozzone Magazzini Criminali Prod., La casa Usher, Firenze, 1981.
4. F.Crisafulli, Un teatro apocalittico. La ricerca teatrale di Giuliano Vasilicò negli anni Settanta, prefazione di D.Maraini, Artdigiland, Dublino, 2017 (dedicato a Simone Carella a circa un anno dalla scomparsa).
5. La scrittura scenica era accompagnata dalla musica del Concerto di Colonia di Keith Jarrett. In Autodiffamazione, al contrario del Teatro-Immagine, non c’è niente da vedere. Quel lavoro di Carella inaugura la Post-avanguardia, teorizzata da Giuseppe Bartolucci, la cui caratteristica fu proprio la decostruzione analitica del linguaggio, l’azzeramento del piano espressivo e rappresentativo in nome di un’autoriflessività concettualista.
6. Paolo Bologna (1956), regista, sceneggiatore, vive questa stagione teatrale filmando alcuni spettacoli memorabili tra 1979 e 1980: Il ladro di Bagdad di Giorgio Barberio Corsetti de La Gaia Scienza alla Reggia di Caserta (1979); Ensemble di La Gaia Scienza al Beat 72 nel 1980 e dello stesso anno La Battaglia di Anghiari, di Benedetto ed Esmeralda Simonelli sempre al Beat 72. Cfr. P.Bologna, Le avanguardie teatrali negli anni ’60 e ’70 nelle interviste di E.G.Bargiacchi, DVD da lui prodotto e 3 Spettacoli della Post-avanguardia 1979-89.
7. La Gaia Scienza è una compagnia teatrale romana della Post-avanguardia fondata nel 1975, composta, nel suo nucleo originario, da Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi.

Paolo Emilio Antognoli
Paolo Emilio Antognoli