Qualche giorno fa una giovane ricercatrice d’arte contemporanea, che insegna in Francia, mi ha raccontato che i suoi studenti, dopo alcune lezioni sulla galleria L’Attico, sono diventati miei grandi fans. Salutandomi la giovane ha aggiunto con enfasi: “Lei è stato un rivoluzionario!”.
La cosa, lo confesso, mi ha fatto un certo effetto.
Non bastasse, per una strana coincidenza temporale, lo scorso dicembre è uscita sull’edizione francese de “Il Giornale dell’Arte” (The Art Newspaper) una mia lunga intervista nella quale già nel titolo mi si definisce découvreur dell’Arte povera.
Anche questo mi ha fatto un certo effetto.
Intendiamoci, sono sempre stato lucido nella conduzione della galleria. Non avevo palesemente la vocazione del mercante. Sin da subito la mia ambizione mi ha portato ad individuare un terreno creativo autonomo dagli artisti che espongo.
Lo spazio espositivo diventa il mio chiodo fisso, l’ambito in cui posso inserirmi da protagonista nella ricerca artistica.
Il Mare di Pascali, insieme opera e installazione, mette a nudo con la sua invasività tutti i limiti dell’appartamento borghese de L’Attico di Piazza di Spagna.
Ma è l’incontro con Simone Forti, due anni dopo, che mi fa comprendere la contiguità dell’arte visiva con la musica e la danza contemporanea. Piano inclinato di Simone è la prima performance in assoluto in una galleria europea. E mi fornisce proprio quell’aspetto performativo che mi mancava nel completare la visione di un nuovo spazio.
Pascali muore l’11 settembre del 1968. Io reagisco allo sconforto e trasformo per un mese la galleria in una palestra: Ginnastica mentale. Il dado è tratto.
È il 21 dicembre 1968. S’inaugura la galleria-garage di Via Beccaria con i film SKMP2 di Luca Patella, Libro di Santi di Roma eterna di Alfredo Leonardi e un documentario di Jean-Luc Godard e Jean-Pierre Prevost sul Maggio francese.
Il 14 gennaio 1969 si apre la mostra dei Dodici cavalli vivi di Jannis Kounellis destinata a divenire leggendaria.
Mai una galleria d’arte aveva avuto una tale agibilità. Nel garage de L’Attico avviene l’incontro storico tra l’Arte povera e la performance americana. Il garage fa scuola. È un contenitore che per le sue caratteristiche stuzzica e orienta la fantasia di artisti e performers.
Agli inizi non ne stravolgo l’identità, si distinguono ancora le frenate delle auto sul pavimento. Voglio portare la galleria in un luogo reale, non addomesticato, non estetizzante. Basta pensare, sin dalla mostra inaugurale, ai cavalloni defecanti di Kounellis che sfoggiano peni enormi. Siamo lontani anni luce dall’ultimo piano elegante di Piazza di Spagna!
Nel 1972 decido di cancellarne definitivamente le tracce e trasformo il garage in una sorta di cubo bianco, asettico, lasciando intatte le sue prerogative spettacolari. Da spazio povero a spazio concettuale il garage non smette di accendere la scintilla negli artisti. Alcuni di loro ne hanno segnato indelebilmente la storia.
Jannis Kounellis, ça va sans dire, che ha esercitato magnificamente lo ius primae noctis.
Eliseo Mattiacci e Mario Merz, irruenti entrambi, l’uno con un rullo compressore che comprime la terra sparsa nel garage, l’altro che invece di parcheggiarla in strada, espone direttamente la vettura con la quale è venuto da Torino. L’opera più bella in mostra però è il suo Igloo di vetro.
Gino De Dominicis, che con i segni viventi de Lo Zodiaco compone un grande tableau vivant in semicerchio, come i cavalli di Kounellis un anno prima.
Bob Smithson, che agisce in due modi: con la colata di catrame bollente giù da un dirupo sulla Via Laurentina, primo intervento di Land Art in Europa, e con degli specchi conficcati nel fango, in galleria.
Ci sono anch’io, Fabio Sargentini. Il garage allagato da me per tre giorni, dal 9 all’11 giugno 1976, si offre agli occhi dei visitatori come un lago metafisico. È l’atto finale.
Sono questi gli interpreti del garage in senso assoluto, che l’hanno preso d’assalto con un’idea ambientale. Molti altri artisti hanno esposto o si sono esibiti al massimo livello in Via Beccaria, ma il loro approccio è stato più occasionale.
La mostra My way, che ho pensato in occasione del Premio Pascali, è costituita da otto gigantografie e altrettante sagome ad altezza naturale dei loro autori. Sono i miei compagni di strada. Se tendi l’orecchio, percepisci tra loro un bisbiglio. Cosa si diranno Pino e Jannis, eterni amici rivali? Eliseo li ascolta sorridente, equidistante. Bob, in piedi su una roccia, sembra un esploratore che scruta l’orizzonte. Simone accenna un passo di danza, incantevole nella sua leggerezza. Mario, arcigno, ha in mano una radio con la quale è in contatto con Marisa a bordo di un aereo in volo. Gino sfoggia il suo solito sorrisetto beffardo sotto i baffetti alla Dalí. Pino ha un’aria concentrata, spirituale nel suo abbigliamento rigorosamente nero. È lui l’anfitrione. E poi c’è Fabiaccio, come mi chiamava Pino, che con uno sguardo sembro abbracciare tutto il gruppo.
Ne abbiamo di cose da raccontarci, noi rivoluzionari!
dal catalogo Fabio Sargentini. My way. Installazione con figure, XXI Premio Pino Pascali, Polignano a Mare 2019.
Arte e Critica, n. 93, primavera 2019, pp. 98-100.
XXI Premio Pino Pascali
di Rosalba Branà *
Il 2018 è stato un anno importante per la Fondazione Pino Pascali poiché siamo nel 50° anniversario dalla scomparsa dell’artista e numerose sono state le iniziative svolte nell’arco di tale periodo. L’anno si conclude con l’assegnazione del Premio Pino Pascali XXI edizione attribuito a Fabio Sargentini, gallerista e mentore di Pascali. […]
Il Premio fu istituito nel 1969 per volere dei genitori dell’artista e presieduto da Palma Bucarelli, soprintendente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma avvalendosi della collaborazione di un Comitato Scientifico che cambiava di anno in anno, la segreteria organizzativa aveva sede a Polignano ad opera del Prof. Favale, stretto amico della famiglia. Il Premio fu interrotto nel 1979 alla morte del padre dell’artista. Scriveva Palma Bucarelli: “Il premio intitolato a Pino Pascali non è stato istituito per ravvivare ogni anno un ricordo e un rimpianto che nulla potrà mai cancellare ma per conservare qualcosa di Lui, almeno un po’ d’impulso che la sua presenza dava ai giovani artisti che, come Lui, sentivano che l’arte si aggirava in un labirinto da cui non sarebbe potuta uscire se non, come Dedalo, volando…”. […]
Le motivazioni del Premio Pascali, ieri come oggi, sono rimaste le stesse e, a differenza di molti altri premi, non viene definita una fascia di età da prendere in considerazione, piuttosto una linea che attraversa in modo innovativo vari ambiti linguistici dalle arti visive alla critica d’arte. […]
Fabio Sargentini è colui che per 50 anni ininterrotti ha tenuto vivo l’interesse intorno alla figura dell’artista, ha dosato con un’attenta qualificata lungimiranza le partecipazioni solo in prestigiose mostre internazionali, ha attuato e sostenuto negli anni una ricostruzione critica approfondita e con grande genialità ne ha rivitalizzato le opere con interventi personali che hanno connesso, al di là del tempo, le due forti personalità.
Ma è necessario ricordare anche un’altra storia che vede Sargentini frequentare Polignano a Mare. In quell’estate del 1992, insieme, decidemmo di organizzare ogni anno un festival multimediale dal titolo, Ritorno al mare. Omaggio a Pino Pascali. Era la prima volta che Sargentini arrivava in Puglia nel piccolo paese a strapiombo sulla scogliera, luogo di nascita della sua famiglia e che oggi accoglie le spoglie di Pino nella piccola cappella cimiteriale. È qui che Sargentini ritrova la poiesis di Pascali lungo le scogliere, nelle strette insenature, nei campi arati sul mare, nelle pozzanghere dove da bambino giocava, tra le barche e i delfini nel mare dalle mille sfumature di blu, lo ritrova nei colori dei gozzi dei pescatori, nelle reti da pesca, nei cantieri delle barche…
Da allora la frequentazione con Polignano e con il Museo Pino Pascali diviene costante sino alla recente acquisizione dei Bachi da setola, imponente installazione realizzata da Pascali pochi mesi prima dalla sua scomparsa. Oggi nel nostro Museo si impongono come l’opera più importante della collezione. Il 25 marzo del ’68 Pascali espone nella galleria l’Attico Bachi da setola ed altri lavori in corso e, come già nel 1966, l’artista organizza la sua mostra in due tempi, nella seconda parte, del 18 aprile, espone il Ponte, Trappola, Botole… […]*
* dal catalogo Fabio Sargentini. My way. Installazione con figure, XXI Premio Pino Pascali, Polignano a Mare, 2019.