L.: Munari entra ed esce di continuo dal cono di luce dell’arte.
G.: Per guardare da fuori.
L.: Guardare da fuori per chiamare dentro la gente.1
Bruno Munari è stato definito il Leonardo del nostro tempo. La curiosità con cui la sua instancabile ricerca si è spinta al di là dei confini disciplinari fino ad entrare nella vita e a incidere nel mondo è indiscutibile. Gran parte del suo lavoro potrebbe essere preso ad esempio per spiegare l’attitudine peculiare del suo operare. Tra tutto, quello che più colpisce per semplicità, versatilità e sviluppi sono le Proiezioni dirette.
Esposte per la prima volta il 13 ottobre 1953 allo Studio B 24 di Milano, furono concepite come una sperimentazione per destrutturare i principi della pittura su tela; acclamate dalla critica furono esposte due volte al MoMA di New York nel maggio del 1954 e nell’ottobre del 1955 accanto ai libri illeggibili e a opere di design. L’opera presentava fin da subito un carattere di novità: la trasposizione su scala cinematografica del concetto di pittura.
Negli anni a seguire gli esempi di arte proiettata non sono mancati, come il Liquid Crystal Environment (1965) di Gustav Metzger, in cui la generazione dell’immagine si sviluppa tra deperimento e autodeterminazione, o le disorientanti proiezioni psichedeliche sulle pareti del Salone Annunciata e sui prismi in plexiglass di Amalia Del Ponte (1972). Le applicazioni di questo mezzo possono variare da una dimensione immersiva in ambienti minimali e un’esperienza estetica fluttuante e libera come le Light Projections di James Turrel (1967-1968) fino a catapultare lo spettatore nell’immanenza dell’opera e nell’interiorità psicologica dell’artista come Art Make-Up: No.1 White, No.2 Pink, No.3 Green, No.4 Black di Bruce Nauman del 1968.
Ma l’immagine proiettata diventa a pieno titolo un mezzo espressivo autonomo negli anni Novanta con la mostra itinerante A 25-years Survey di Bill Viola2, l’esasperazione del valore monumentale della video proiezione riesce a fare in modo che la video arte scalzi la pittura dalla sua posizione privilegiata detenuta per secoli tra i mezzi espressivi.3
Passando per le infinite varianti, si arriva alla destrutturazione dello spazio architettonico che la contiene con Another Day with Another Sun di Phillippe Parreno e Liam Gillick (2014), composta da fasci luminosi in movimento che attraversano lo spazio espositivo grazie a un sistema di binari sospesi.
La fortuna espositiva delle Proiezioni Dirette di Munari è stata immediata, con mostre in importanti istituzioni come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (1955), il Museo d’Arte Moderna di Stoccolma (1958) e la Biennale di Venezia (nel 1966 e nel 1970), passando per una copertina di “Domus” (settembre 1967), tanto da arrivare fino ai giorni nostri con le recenti mostre personali alla Galleria Kaufmann-Repetto di Milano, al museo Madre di Napoli e la mostra itinerante in Giappone.
Ma come Lisa e Gio Ponti esprimono con semplicità nello scambio di battute che introduce questo testo, il campo di gioco di Munari sconfina oltre qualsiasi possibile definizione. Le Proiezioni dirette escono dai confini dell’arte e, nella loro semplicità, riescono ad anticipare gran parte dei temi che prenderanno piede nel corso della storia delle opere d’arte proiettate.
Fin da subito il lavoro dell’artista è messo a paragone con la pittura, “il vivere moderno ci ha dato la musica in dischi […] ora ci dà la pittura proiettata”.4 Munari aveva ben in mente La pinacoteca domestica di László Moholy-Nagy5, riuscendo anche in questo caso ad andare oltre le categorie con un nuovo mezzo d’espressione capace di creare risultati sorprendenti.6
Ma c’è un momento molto preciso in cui le Proiezioni dirette raggiungono un vero e proprio compimento grazie alla collaborazione con Bruno Danese e Jacqueline Vodoz. È la fine del 1959 quando Bruno Munari espone le Proiezioni dirette alla Galleria Danese di Piazza San Fedele 2 a Milano.
Nell’invito alla serata inaugurale del 10 dicembre si legge: “Sono ammessi anche gli spettatori”, a rimarcare con ironia l’intento partecipativo del progetto di Munari: un’arte di tutti e non solo un’arte per tutti.7 Una performance collettiva quasi un decennio prima che l’arte e le azioni povere invadessero le piazze d’Italia.
Da quell’incontro nascono le Proiezioni dirette nelle Edizioni per bambini di Danese: “Tutto il materiale occorrente per fare piccole composizioni trasparenti da proiettare a colori (come quelle che Munari ha proiettato a New York e a Stoccolma, nei musei e in case private) una tecnica nuova per l’arte visiva”, suggerito da “Domus” tra gli acquisti di Natale accanto al Calendario Bilancia di Enzo Mari e alla serigrafia della luna di Lucini, “da tenere a casa per seguire le vicende astronautiche”.8
Qualche anno più tardi, in Fantasia9, è lo stesso Munari a spiegare le potenzialità di questo lavoro. Per prima cosa, durante l’utilizzo il cambiamento del risultato formale può andare alla stessa velocità del pensiero, la rapidità con cui è possibile selezionare, comporre e fruire la propria “opera visiva” è immediata. L’interazione tra i partecipanti è facilitata dal fatto che non è possibile sbagliare, i materiali artificiali o naturali utilizzabili nei telaietti da diapositive esercitano un fascino indiscutibile, derivato da un lato dalla struttura stessa dei materiali e dall’altro dalla possibilità di superamento del limite di visione dell’occhio umano. Poter vedere gli aspetti microscopici della realtà con un semplice proiettore per diapositive o quelli macroscopici della terra dal televisore di casa durante il primo allunaggio è un’esperienza spettacolare che prima di allora raramente poteva essere vissuta.
Munari in questo caso ha creato una vera e propria opera-strumento, il valore della trasformazione è centrale durante tutto il processo ed è sviluppato ulteriormente con la versione successiva dell’opera le Proiezioni dirette a fuoco variabile, in cui i materiali inseriti nel telaio da dispositiva non sono schiacciati tra due vetrini, ma conservano la loro tridimensionalità, lasciando affiorare immagini fluide sulla parete al cambiare del fuoco del proiettore. Il fatto stesso che le composizioni su telaietti possano essere continuamente riconfigurate dissuade dalla musealizzazione dell’opera e dal divismo dell’autore. La dimensione collettiva e partecipativa accresce il valore spettacolare dell’opera e ne facilità l’accessibilità, mentre l’esame e la discussione nel gruppo allargano il pensiero su fronti inattesi.
Bruno Munari con le Proiezioni dirette porta a compimento un’arte il cui valore possa incidere davvero nel mondo divenendo strumento utile al benessere collettivo, piacere estetico non come ozio borghese ma come stimolo alla crescita intellettiva fin dall’infanzia.
Arte e Critica, n. 94, primavera 2019, pp. 78-83.
NOTE
1. “Dialogo fra Lisa Ponti e Gio Ponti su Bruno Munari”, in Ricostruzione teorica di un artista. Bruno Munari nelle collezioni Vodoz-Danese, Associazione Jacqueline Vodoz e Bruno Danese, Milano 1996, p.8.
2. Presentata al Los Angeles County Museum of Art, al Whitney Museum of American Art di New York (1998), allo Stedelijk Museum di Amsterdam (1998), al Museum für Moderne Kunst di Francoforte (1999), al San Francisco Museum of Modern Art (1999) e all’Art Institute di Chicago (1999-2000).
3. Art since 1900, Thames&Hudson 2004, p.654-658.
4. Le proiezioni dirette di Bruno Munari, in “Domus”, n. 291, febbraio 1954, p.56.
5. L. Zaffarano, Dipingere con la luce, in www.munart.org
6. Intervista di E. Pillet a Gillo Dorfles, in “Art d’Aujourd’Hui”, n.4-5, maggio-giugno 1954.
7. B. Munari, Codice ovvio, Einaudi 1971, p.123.
8. Rassegna per Natale. Oggetti prodotti da Danese, Milano, in “Domus”, n.361, dicembre 1959, p.54.
9. B. Munari, Fantasia, Edizioni Laterza 1977, p.129-145.