CON LE CELEBRAZIONI DEL CENTENARIO DELLA NASCITA DI BEUYS, SI TORNA DA PIÙ PARTI A RIFLETTERE SULLA SUA FIGURA E SULLA SUA PRATICA ARTISTICA. RIPROPONIAMO UN’INTERVISTA PUBBLICATA SU “ARTE E CRITICA” NEL 2016 CHE, PARTENDO DAL RESOCONTO DELLA MOSTRA LA TENDA VERDE [DAS GRÜNE ZELT]. JOSEPH BEUYS E IL CONCETTO AMPLIATO DI ECOLOGIA, CURATA DA MARCO SCOTINI AL PAV DI TORINO, SI SOFFERMA SULLA PORTATA POLITICA DEL RAPPORTO TRA LA PRATICA DI BEUYS E LA NATURA.
SEGUE UNO STRALCIO DI UN’ANIMATA DISCUSSIONE CHE VIDE PROTAGONISTI, OLTRE A BEUYS, DUE GIORNALISTI DI DÜSSELDORF, KLAUS HANG E HUBERT WINKELS, E DIVERSI MEMBRI DEL PARTITO DEI VERDI, INCLUSI RAINER BARTEL E BERND BRUNS. LA TAVOLA ROTONDA FU RIPRODOTTA NEL N.3 DELLA RIVISTA “ÜBERBLICK” DI DÜSSELDORF NEL 1983.
Clara Madaro: La Tenda Verde [Das Grüne Zelt]. Joseph Beuys e il concetto ampliato di ecologia porta il lavoro di Beuys al PAV (Parco Arte Vivente) di Torino a trent’anni dalla sua morte. Come le due precedenti mostre al PAV, Earthrise. Visioni pre-ecologiche nell’arte italiana (2015) ed ecologEAST. Arte e natura al di là del Muro (2016), La Tenda Verde presenta un artista del secolo scorso soffermandosi sulla portata politica del rapporto tra la sua pratica artistica e la natura. Per Beuys non vi era distinzione tra artistico e politico, perché entrambi avevano il compito di modificare la società anche dal punto di vista della definizione del capitale. Come ha affrontato questo punto nella mostra? Quali lavori dell’artista sono stati selezionati per raccontare la portata politica della sua visione artistica?
Marco Scotini: La Tenda Verde intende chiudere la trilogia sul rapporto tra ecologia e pratiche artistiche ai suoi primordi che ha visto occupato il PAV per la durata di un anno. Per questa trilogia ci siamo concentrati solo sull’Europa, estendendo però la nostra indagine tanto al di qua che al di là della Cortina di ferro. L’ecologia, come all’inizio degli anni settanta affermava Gorz, non solo non tiene conto dei confini politici ma assume il ruolo di capo d’accusa tanto del liberismo che del socialismo nella loro condivisione della matrice moderna e capitalista delle forme di sviluppo. Questo terzo appuntamento su Beuys chiude il ciclo espositivo ricollegandosi alla prima mostra Earthrise sulla scena artistica italiana. Ma il problema è stato: come mettere a fuoco il rapporto esclusivo tra Beuys e l’ecologia senza cadere, per l’ennesima volta, nel magnetismo del personaggio? Di Beuys, almeno in Italia, si è parlato tanto ma non rispetto al suo rapporto con le istituzioni e le organizzazioni politiche. Per questo ci è sembrato che lavorare sulla fondazione del Partito dei Verdi potesse avere un senso sia nella denuncia della distruzione dell’ambiente che nella promozione istituzionale. Dunque, già dal titolo si fa riferimento a quel grande tendone di colore verde che fa la sua comparsa la mattina del 28 settembre 1980 nella Gustaf-Gründgens-Platz di Düsseldorf, di fronte all’edificio dello Schauspielhaus di Alvar Aalto. La tenda allestita da Beuys con i suoi collaboratori serve come reale e ideale punto di riferimento – di raccolta e di organizzazione – della prima campagna elettorale dei Verdi, per la quale produrrà anche manifesti, ephemera, ecc. Nella mostra, oltre questo capitolo, saranno presentate tutte quelle operazioni artistiche che, a partire dall’inizio degli anni ’70, hanno visto il progressivo consolidamento della consapevolezza ecologica di Beuys, indissociabile da una concezione della rigenerazione ambientale in senso allargato. L’azione Überwindet endlich die Parteienddiktatur [Superate una volta per tutte la dittatura dei partiti] contro la distruzione di un’area boschiva di Düsseldorf; l’Aktion im Moor [Azione nella palude] contro la distruzione dell’equilibrio idrogeologico in Olanda assieme all’operazione Difesa della Natura e alla Fondazione per la Rinascita dell’agricoltura, così come molti altri interventi fino al progetto 7000 querce, sono al centro dell’esposizione.
CM: In un’intervista chiesero a Joseph Beuys: “‘Artista sociale’, ‘realista’, ‘scultore sociale’: sono le definizioni più ricorrenti per descrivere il suo lavoro. Lei si riconosce in queste etichette?”. L’artista risponde positivamente, dicendo che erano quelle che rispecchiavano maggiormente il suo lavoro. Come questi concetti con cui si rappresenta il lavoro di Beuys possono rapportarsi alle pratiche ecologiche contemporanee e che contributo possono dare all’attuale riflessione sull’ecologia?
MS: Se rimaniamo dentro il nostro campo di pertinenza, è chiaro che molte delle pratiche artistiche contemporanee dipendano da Beuys nel loro rapporto con l’ecologia che sempre più tende a nuove forme di ri-ruralizzazione dell’urbano e del mondo. Tanto le forme di protesta di Beuys (come la pulizia dei boschi e delle piazze) quanto le sue azioni affermative sull’agricoltura biologica, sulla biodiversità o sulla partecipazione appaiono oggi come vere e proprie anticipazioni di tutta una nuova sensibilità che cerca una fuoriuscita dal sistema dell’arte in favore di un incontro con la trasformazione sociale e un nuovo uso delle risorse. Temi come quelli dell’autodeterminazione o della sostenibilità sono al centro delle pratiche di artisti come Marjetica Potrč, Fernando García-Dory oppure Atelier d’Architecture Autogérée, Future Farmers, ecc. Il contributo maggiore di questa eredità mi pare si possa cogliere nel rifiuto di una ennesima forma di tecnocrazia scientifica in appoggio a una visione sociale creativa e potenziatrice di vita.
CM: Joseph Beuys ebbe un’esperienza di attivismo politico nel Grüne Partei o il partito dei radicali-ecologi e allestì nella piazza di Düsseldorf la grande tenda verde da cui con i suoi collaboratori coordinò le attività del partito. Che rapporto c’è tra questa tenda verde e il concetto ampliato di ecologia?
MS: Mi sembra una domanda perfetta perché ci permette di capire come la questione ecologica non possa andare disgiunta dalla costruzione dei rapporti umani a tutti i livelli del sociale. Per ironia della sorte quello che oggi ci sembra interessante di Beuys è questa intrinseca anti-politicità che fa politica a partire da altri linguaggi, altre esperienze e altri saperi. Sicuramente Beuys non avrebbe mai potuto diventare un leader politico e, proprio per questo, oggi ci attrae. Rimangono dunque fondamentali tutte le sue nuove formazioni organizzative: dalla fondazione del Partito degli Studenti Tedeschi del ’67 all’Organizzazione per la Democrazia Diretta attraverso il referendum del ’71, fino al grande progetto della FIU del 1974.
IL PUNTO DI VISTA DI BEUYS SUI VERDI
DOPO ESSERE STATO TRA I FONDATORI DEL PARTITO DEI VERDI NEL 1980 E DOPO ALCUNE CANDIDATURE MANCATE, JOSEPH BEUYS ASSISTE AL DEFINITIVO FALLIMENTO DI OTTENERE, NEL 1983, LA NOMINA PARLAMENTARE DI CANDIDATO DEL PARTITO PER LO STATO DELLA RENANIA SETTENTRIONALE-VESTFALIA, RUOLO CHE INVECE ANDÒ A BERND BRUNS ED OTTO SCHILY.
Klaus Hang: L’accusa fatta dai Verdi non riguarda la tua critica al programma, ma piuttosto la paura che tu possa contraddire l’intero programma di fronte ai media, ad esempio esponendo questa tua nuova idea di denaro. Noi possiamo riconciliare l’immagine che Beuys produce tramite il suo potere mediatico con quelle persone che non lo capiscono. Il problema è se tu [Beuys] accetterai di essere costretto a un tale egualitarismo.
Joseph Beuys: Ma con questo confermi che l’idea fondamentale alla base di questo spirito egualitario è ancora forte. Dobbiamo quindi riconoscere che l’organizzazione nel suo complesso fallisce in altri punti: al vertice, in tutte le strutture di questa società, ma anche alla base… Non possiamo dimenticare il fatto che c’è un elemento che non dovremmo mai perdere di vista. Pensavo che ci fosse spazio, non immaginavo che avrei assistito a nient’altro che un vacuo disprezzo e derisione di fronte al tentativo di spiegare le proprie intenzioni. In ogni caso, il mio punto di vista è molto chiaro e sono in molti a condividerlo. Sono un deciso oppositore dell’SPD; in tutte le attività dell’SPD riscontro elementi che remano in direzione contraria allo sviluppo delle forze produttive nel popolo. […] Così arriviamo al punto: perché dovrei rinunciare ora?
Rainer Bartel: Chi dice che dovresti rinunciare?
JB: Nessuno, ma dal mio punto di vista è palese che sia così, che dovrebbe essermi concesso il minor spazio possibile. In questo caso, nessuno avrebbe nulla in contrario alla mia permanenza.
RB: Sicuramente… nonostante i Verdi di Düsseldorf nutrano diverse riserve nei confronti delle tue idee, sino a questo momento si sono sempre dimostrati solidali.
JB: Ho visto una lobby che ha lavorato contro di me anche a Düsseldorf. So quali persone ne facevano parte, non lancio accuse, dovranno risponderne a se stessi.
RB: Sì, anch’io li conosco…
Hubert Winkels: Così tutto ciò a ora non avrà conseguenze?
JB: No, nel senso che, come ho detto, se le mie idee non sono le benvenute al Bundestag, allora io non ho intenzione di essere quello che giù in strada toglie le castagne dal fuoco al posto loro. La lezione dev’essere questa, semplicemente.
RB: S’intravede un’accusa: Beuys e la FIU hanno deluso i Verdi da un punto di vista pedagogico negli ultimi due anni?
JB: I processi che hanno contribuito alla formazione di questo partito sono di per sé un elemento pedagogico. Ho giocato un certo ruolo in questa storia e per coloro che non lo accettano o nutrono dei sospetti, i miei insegnamenti rimangono inaccessibili, da ogni punto di vista. Se nel breve periodo che intercorre tra la comunicazione di concetti e la loro comprensione questa non è raggiunta, la sua mancanza è da imputarsi al poco tempo a disposizione e alla mia condizione di sfinimento – sono stato messo da parte in diverse occasioni, ai convegni del partito non c’era mai abbastanza spazio per spiegare i miei punti di vista. Questo ci conferma la certezza che nulla possa essere raggiunto per mezzo delle prassi della vecchia politica e ogni tentativo di conformarsi a esse è sbagliato, è un’illusione psicologica. L’unico approccio valido, nel lavoro, è quello che fa capo alle capacità umane… l’arte e la creatività rappresentano l’unico possibile punto di partenza per cambiare la società.
RB: Non è da qui che parte l’impegno di tutti noi, che ci siamo avvicinati ai Verdi dal nostro punto di vista di artisti?
JB: Non solo gli artisti. Io credo riguardi tutti; l’accordo o il disaccordo è determinato dai parametri “interessante” o “noioso”. Se i Verdi diventano noiosi non avranno successo con gli elettori. Gli elettori si attraggono facendo proposte affascinanti. Le cose noiose sono appannaggio dell’SPD; l’SPD è nettamente superiore, per quanto riguarda la noia… posso solo fare ai Verdi i migliori auguri!
RB: Voterai i Verdi anche questa volta?
JB: Sì. E se la mia presenza sarà ancora necessaria, valuterò la questione. Mi è quindi necessario trattenermi un po’ sino alle elezioni. Dopo le elezioni, vedremo se ci sarà ancora bisogno del mio punto di vista, dei miei metodi, del mio “teatro”…
HW: Se le elezioni fossero un successo, si potrebbe tornare al Beuys “cantante” nell’accezione della frase “la democrazia dev’essere cantata!”.
JB: Il termine “teatro” non dev’essere frainteso. Usando questa parola voglio dire che qualcosa di interessante sta succedendo di nuovo al Bundestag […].
RB: Ma non sarebbe un successo, per le due questioni attorno alle quali ruota il dibattito sulla tolleranza, ovvero prevenire il riarmo/rimilitarizzazione e la cessazione degli impianti per l’energia atomica, legittimare tutti gli elementi idiosincratici ai quali ci troviamo di fronte in questo momento?
JB: Sì, è così e non escludo che potrebbe andare così, sarebbe davvero positivo. Ma non credo che tale successo possa essere raggiunto senza operare cambiamenti negli standard generali. Nulla può essere conquistato senza puntare in alto.
Questo stralcio è tratto dal n.3 della rivista “Überblick” di Düsseldorf, pubblicato nel 1983, e riproduce l’animata discussione che vide protagonisti, oltre a Beuys, due giornalisti di Düsseldorf, Klaus Hang e Hubert Winkels, e diversi membri del partito dei Verdi, inclusi Rainer Bartel e Bernd Bruns. – Traduzione Giulia Mengozzi
Arte e Critica, n. 86/87, autunno – inverno 2016/2017, pp. 92-96.