Uno dei modi più appropriati di introdurre il lavoro di Derek MF Di Fabio è farlo attraverso le atmosfere. Quando a occhi chiusi si cerca di evocarlo, ci si trova di fronte al parziale fallimento della memoria visiva. Piuttosto, è un insieme di sensazioni e sussurri a increspare l’aria intorno al proprio corpo, sfumando e amplificando la propria membrana. Si è proiettati in un mondo di nodi, stringhe e forme di vita.
«We do not obtain knowledge by standing outside of the world; we know because we are of the world. We are part of the world in its differential becoming». (Karen Barad, Meeting the Universe Halfway)
Il lungo impegno di Di Fabio attraverso pratiche comunitarie con esseri umani e più che umani, si traduce in una sovrapposizione di relazioni, voci, partiture e immaginazioni che pongono in essere ed esaltano le intra-connessioni della vita. Tale ricerca è una torsione a 360° su fisica quantistica, parascienza, teoria queer e auto-organizzazione performativa. In particolare attraverso movimenti e incontri, tale lavoro collega i flussi energetici prodotti nella socialità. Collegando materia a materia, percorrendo lo spazio-tempo in vortici e loop, il lavoro di Di Fabio mira a interrompere la linearità temporale e a connettere i suoi estremi attraverso riferimenti incrociati. Questa poetica delle relazioni sottende una complessa comprensione dell’oggetto artistico, inteso come mai preesistente e concluso, ma in divenire, dato da atomi attratti in molecole, discorsi modellati da corpi in sinergia.
«To make the music we are making by moving the people moving around». (Fred Moten, The Little Edges)
Un esempio di questa intensità di pratica è il progetto Erratic Orbits (2019) in cui Di Fabio in collaborazione con l’artista e scrittrice m, ha puntato a modulare e costruire la memoria attraverso movimenti di diversi insiemi di conoscenza – umana e geologica – tra eventi pubblici e privati attraverso l’Europa. I massi erratici, trasportati dallo scioglimento dei ghiacciai perenni portano con loro la memoria di un paesaggio in via di scomparsa, mentre gli umani formano punti di contatto tra linguaggi e scenari attraverso le orbite stesse dei loro corpi, ibridandone le storie. Intrecciati in altri apporti, nutriti da vari mondi, nati da incontri imprevisti; la diversità è ciò che accomuna l’esistenza: l’umanità è modellata da ciò che viene da lontano, incrocia i suoi percorsi e la porta avanti.
«Echoes and echoing greatly lend to practices adept at appropriating and mimicking, to give support to appearances that never quite “fit in”». (Brandon LaBelle, Sonic Agency: Sound and Emergent Forms of Resistance)
La mostra personale di Di Fabio più recente BARK presso Almanac Projects (Torino, 2021) funziona come una camera di risonanza in cui tutti gli elementi coinvolti, scompaginati in una loro nuova disposizione spaziale, lasciano campo libero a nuove modalità di conduzione, relazioni e risposte. La mostra raccoglie i risultati di una ricerca sulle paure personali/sociali, su come i corpi morbidi si percepiscono tra loro se uno di essi è corazzato in una macchina, e su cosa possiamo imparare dall’osservazione di due buchi neri che si fondono. Dall’estate 2020, questa indagine ha prodotto workshop, letture e viaggi tra diverse comunità e luoghi d’arte tra Torino e Berlino. La ricerca di Di Fabio sulla perdita delle sorgenti di significato e materialità è radicata nel titolo scelto da Di Fabio: bark [abbaiare/corteccia] potrebbe essere il suono prodotto dal cane o gli strati più periferici dei fusti delle piante legnose, materiale un tempo utilizzato per la costruzione di megafoni. La mostra invita i visitatori a entrare in un paesaggio dei desideri e a percepire come la loro posizione risuoni, si avverta e si mescoli quando le linee e le membrane si confondono. Nello spirito di un ponte tra materie vibranti, le opere esposte ad Almanac sono frammenti del progetto partecipativo, o la sua traduzione oggettuale, che costituisce il processo a priori della mostra. TANA (prodotto in collaborazione con Tana, 2020) è un megafono blu assemblato con i pezzi di auto dismesse, giace – inutilizzato – tra un un un (2021), due vasche la cui acqua è proiettata al soffitto da una torcia, animata da una fontana e «caricata» dalle registrazioni audio della performance diffuse da un altoparlante.
Nella mostra, un’altra fonte luminosa viene da Alba (2020), una serie di lampade di terracotta nera costituite dall’incrocio di sagome di martora, come ombre che portano il fuoco nelle loro viscere. Alba si collega ai due lavori tessili BARK – a decomposing society that praises the hardness while exploiting the softness (2020), e Fermenting profiles (2017-2020), entrambi prodotti durante workshop, il primo a Berlino, il secondo con un gruppo di adolescenti in una collaborazione tra British Red Cross, Counterpoints Arts e Almanac. I tessuti organizzano una configurazione momentanea di desideri e affermazioni, o come la chiama Di Fabio «una scultura piatta» che racchiude i suoi strati di significato e diventa riconoscibile per la sua sintetizzazione a una sottile forma stratificata. Tutti questi oggetti, proiettando una sorta di riflesso o mutando tra forme, generano ciò che Di Fabio concepisce essenzialmente come opera d’arte: lo stato denso della materia, la sua fluidità e il suo ridursi in strumenti umani di trasmissione. Le opere, infatti, il dialogo attraverso metafore della materia e le risonanze di pensieri, conducono il visitatore alla vita fuori dal white cube, dove l’entropia regna e organizza la vita.
«To move from the oral to the written is to immobilise the body, to take control (to possess it)». (Édouard Glissant, Caribbean Discourse: Selected Essays)
Nel lavoro di Di Fabio la vita è rievocata attraverso la voce, mezzo tentacolare, malleabile e determinante dal punto di vista culturale, fondamentale nella pratica dell’artista. Tale «vibrazione» è un patrimonio che appartiene alla storia della resistenza dei corpi repressi, che solitamente hanno adottato la radio o l’emittenza in genere come strumento di costruzione della comunità.
Attraverso l’ascolto e la ricomposizione dei linguaggi e delle storie Di Fabio collega i corsi storici ai corpi che li conducono, organizzando un paesaggio di riconnessioni. Come quando, in occasione dell’opening di BARK, in collaborazione con corpi amanti, attivisti queer ha orchestrato un dialogo tra più fonti sonore.
Il coro urbano, dove l’armonia è stata creata dalla singolarità dei partecipanti, nasce da Quando l’auto si increspa e finge la sua corazza: come risolvere conflitti osservando due buchi neri fondersi, un workshop che ha portato alla produzione di testi successivamente editati anche tramite chat di messaggistica istantanea, messaggi vocali o di testo. I molti passaggi hanno costruito una riflessione attraverso l’esperienza dell’altro, dove nessuna autorialità conta se non la collettività. Attraversando gioiosamente le vie di Torino, il coro di voci non gerarchiche animate da nuovi desideri poetici e rivelazioni, ha raggiunto il fiume Po e il canale Dora, connotando diversamente la memoria dell’acqua. Il timbro delle voci e lo scorrere del fluido come parete plastica si scontrano sui corpi duri della città generando un’istanza di morbidezza.
«As everyone with lungs breathes the space between the hands and the space around the hands and the space of the room and the space of the building that surrounds the room and the space of the neighborhoods nearby in and out». (Juliana Spahr, This Connection of Everyone with Lungs)
Partendo da tali connessioni, la concezione dell’opera di Di Fabio rappresenta un energico rifiuto di muoversi all’interno delle strutture normative della società, viceversa abbraccia la queerness delle cose, il principio del disfare le tracce prestabilite per rimettersi in contatto con la coesistenza più profonda di desideri e vite. Per Di Fabio ciò significa raggiungere ed essere raggiunto dalle persone attraverso lo spazio, come accade nel progetto partecipativo Cuscino (iniziato nel 2020) in collaborazione con un gruppo di detenuti della Casa di Reclusione di Vigevano; un laboratorio che mirava alla formazione di relazioni attraverso un movimento bidirezionale. Tra il dentro e il fuori del penitenziario, la formazione di un immaginario collettivo si estende nei regni degli esclusi e dei segregati, dove altre visioni dello stare al mondo insieme sussistono e lottano per sopravvivere. Da questo laboratorio di scrittura è emerso il futuro progetto editato da m ed emergente dalle visioni dei detenuti. Nella mostra Rosa in Mano, con Nevine Mahmoud & Margherita Raso, curata da Eva Fabbris, aperta a settembre alla Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano, Di Fabio ha proposto un display narrativo di storie, uno spazio sonoro che intreccia il corpus di lavori e che pone ancora una volta un tocco di solidarietà sull’azione sonica.
«Relationships are always cosmic». (Alexis Pauline Gumbs, We Travel the Space Ways)
Il lavoro di Derek MF Di Fabio è da ascoltare a letto quando si parla in silenzio con se stessi, da leggere a voce alta ma melodicamente sulla pista da ballo, da percepire intorno a un falò quando i nostri corpi insieme sono più vicini ai pianeti. La sua istanza è complessiva: familiarizzare con gli spazi intermedi e trattare con rispetto l’imprevedibilità e il vuoto, dove la vita si manifesta sempre.
Arte e Critica, n. 96, autunno – inverno 2021, pp. 22-26.
THE LISTENING IS IN WATCHING HOW YOU MOVE TO TOUCH IN SOUND. ON DEREK MF DI FABIO
One of the most accurate ways to introduce Derek MF Di Fabio’s work is through atmospheres. Indeed, when you close your eyes and try to evoke it, you are confronted by the partial failure of the visual memory. Instead, a set of sensations and whispers ripples the air just around your body, blurring and amplifying your own membrane. You are projected into a world of knots, strings and forms of life.
«We do not obtain knowledge by standing outside of the world; we know because we are of the world. We are part of the world in its differential becoming». (Karen Barad, Meeting the Universe Halfway)
Di Fabio’s long commitment to human and non-human community based practices, results in a stratification of relationships, voices, scores and imaginations which ennobles and enact the intra-connections of life. Their research is a 360° torsion on quantum physics, parascience, queer theory and performative self-organizing. Particularly through movements and time-specific gatherings, their work links the energetic fluxes produced in the togetherness. Bridging matter to matter, traveling the space time in vortexes and loops, Di Fabio’s work aims to disrupt temporal linearity and connect its extremes through cross-references. This poetics of relations underlay a complex understanding of the artistic object, as never pre-existing and concluded, but in becoming, given by atoms attracted in molecules, discourses shaped by bodies in alliance.
«To make the music we are making by moving the people moving around». (Fred Moten, The Little Edges)
An example of this intensity of practice is the project Erratic Orbits (2019) in which Di Fabio in collaboration with m, aimed at modulating and building memory through movements of different bodies of knowledge – human and geological – in many sceneries throughout Europe. Glacial stones, transported by the melting of perennial glaciers, and therefore erratic, carry the memory of a landscape in disappearance, while humans create points of contact between languages and scenarios through the very orbits of their bodies, hybridizing their stories. Woven into other contributions, nourished by various worlds, born of unforeseen encounters; diversity is what existence has in common: humanity is modelled by what comes from afar, crosses her paths, and carries her forward.
«Echoes and echoing greatly lend to practices adept at appropriating and mimicking, to give support to appearances that never quite “fit in”». (Brandon LaBelle, Sonic Agency: Sound and Emergent Forms of Resistance)
Their most recent solo-exhibition BARK at Almanac Projects (Turin, 2021) works as an echo chamber where all the elements involved in, unsettled in their new spatial arrangement, leave agency to new modes of conduction, relationships and responses. The show brings together the results of a research on personal/social fears, how soft bodies perceive each other if one of them is armoured into a car, and what we can learn from the observation of two black holes merging. Since summer 2020, this study has carried out workshops, readings and travel between different communities and art places in Turin, Berlin and its countryside. Ingrained in the title chosen by Di Fabio is their research on the loss of sources of meaning and materiality: bark could be the sound produced by the dog or the outermost layers of stems of woody plants, material formerly used for the construction of megaphones. Indeed, the exhibition invites the visitors to enter a wish-landscape and perceive how their position sounds, feels and blends together when lines and membranes are blurred. In the spirit of bridging vibrant matters, the artworks on display at Almanac are shards of the participatory project, or its objectual translation, which constitutes the a priori process of the exhibition.
TANA (produced in collaboration with Tana, 2020) is a blue megaphone assembled from the pieces of scrapped cars, it lays untouched close between un un un un (2021), two water tanks which water is projected to the ceiling by a light, animated by a fountain and recharged by the audio-recordings of the performance, played from a speaker. Another source of light of the exhibition comes from Alba (2020), a series of black terracotta torches shaped as martens which carry fires in their bowels, representing the shadows which bring themselves their source of light. The silhouettes and shadows reconnect with the two textiles works BARK – a decomposing society that praises the hardness while exploiting the softness (2020), and Fermenting profiles (2017-2020), both produced during two workshops, the first in Berlin, the second with teenagers in collaboration between the British Red Cross, Counterpoints Arts and Almanac. The fabrics arrange a momentary configuration of desires and affirmations, or as named by Di Fabio «a flat sculpture» which encloses its layers of meaning and becomes recognizable because of its reduction to a close subtle form. All those objects, projecting a sort of reflection or morphing from one form to another, generate what Di Fabio conceives primarily as the artworks: the thick state of the matter, its fluidity and its enclosure in human tools of transmissions. The artworks, indeed, the dialogue through metaphors of matter and resonances of thoughts lead the visitor to life outside the white cube, where the entropy reigns and organizes life.
«To move from the oral to the written is to immobilise the body, to take control (to possess it)». (Édouard Glissant, Caribbean Discourse: Selected Essays)
Life is recalled in Di Fabio’s work through the voice, a tentacular, malleable and cultural determining medium, fundamental in Di Fabio’s practice; this «vocal vibration» is a heritage belonging to the history of the resistance of repressed bodies, which usually adopted radio or broadcasting as a tool of community building. Di Fabio’s listening and recomposing languages and stories link the historic courses to the bodies who carry them, whilst orchestrating a sonic landscape of reconnections. On the occasion of the opening of BARK, when in collaboration with queer performers, activists and lovers organized a dialogue between voices and sounds. The urban choir, where harmony was formed by the unicity of participants, comes from Quando l’auto si increspa e finge la sua corazza: come risolvere conflitti osservando due buchi neri fondersi [When the car ripples and fakes its armour: how to solve conflicts by watching two black holes merge], a workshop which led to the production of texts and materials remediated through collective editings in the form of an instant messaging chat, vocal or text messages. The many passages, mouths to word, hands by hands to each participant built a thinking through the experience of the other, where no authorship matters if not the collectivity. Joyfully riding through the streets of Turin, the choir of non-hierarchical voices animated with new poetic desires and revelations, reached the placid course of the Po river and Dora canal, trying to influence the memory of the water. The timber of the voices and the flow of the fluid as plastic walls, crashes on the hard bodies of the city unleashing the claim for softness.
«As everyone with lungs breathes the space between the hands and the space around the hands and the space of the room and the space of the building that surrounds the room and the space of the neighborhoods nearby in and out». (Juliana Spahr, This Connection of Everyone with Lungs)
From those alliances, Di Fabio’s conception of the artwork responds to a great refusal to move within the normative structures of our society, whilst embracing the queerness of things, a principle of unmaking the lines to getting in touch again with the deeper coexistence of desires and lives. For Di Fabio the case is allowing people to be reached and reach across space, as in their participative project Cuscino (2020-2021) in collaboration with inmates from the prison of Vigevano; a workshop of shaping relationships through movement of back and forth. Between the inside and outside of confinement the formation of a collective imagination is extended into the realms of the excluded and segregated, where other visions of being in this world together subsist and strive to survive. From this writing workshop emerged their upcoming project edited by m and coming from the visions of the inmates. In the show, Rosa in Mano, with Nevine Mahmoud & Margherita Raso, curated by Eva Fabbris, opened in September, at Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milan, Di Fabio has proposed a narrative display of stories, a sonoric space which intertwines their body of works and which places once again a hint of solidarity on sonic agency.
«Relationships are always cosmic». (Alexis Pauline Gumbs, We Travel the Space Ways)
Derek MF Di Fabio’s work is to be listened to in bed when one speaks silently to oneself, read loudly but melodically on the dancefloor, perceived around a bonfire when our bodies together are closer to planets. It makes a claim overall: to befriend the spaces in betweens and to deal with respect with unpredictability and void, where life always manifests itself.
Arte e Critica, no. 96, autumn- winter 2021, pp. 22-26.