Nel settembre 1975 Maurizio Fagiolo dell’Arco pubblica, sul n. 15 del bollettino “Qui Arte Contemporanea” di Roma, l’articolo Archeologia dell’avanguardia?, nel quale esplicita la sua mutata posizione nei riguardi dell’arte e del ruolo del critico e che segna l’inizio del suo progressivo abbandono della critica militante a favore dello studio e della ricerca, proprie del mestiere di storico dell’arte, che lo conducono successivamente a importanti testi sul Barocco e sulle avanguardie italiane dell’inizio secolo. L’articolo è sintomatico della crisi del critico, che non condivide più alcune scelte artistiche e non si riconosce nel nuovo ruolo di una critica curatoriale, e meno militante, che si annuncia allora per poi svilupparsi nei decenni successivi fino a oggi.
Il testo del 1975 è collocato come ultimo dei quasi cento raccolti nel libro Maurizio Fagiolo dell’Arco critico militante, 1964-1980 a cura di Fabio Belloni. Il volume indaga il caso specifico dello studioso romano – primaria figura di critico nel panorama italiano di quegli anni – tramite la ripubblicazione integrale di una scelta di testi in molti casi di non più facile reperibilità. La raccolta è preceduta da un’introduzione del curatore che inquadra la personalità di Maurizio Fagiolo dell’Arco e rilegge nel suo complesso il pensiero e l’attività di critico militante che, proprio per il suo volontario allontanamento, rischia di essere dimenticato a favore di altre figure rimaste successivamente attive nel panorama dell’arte contemporanea. Fabio Belloni aveva già espresso il suo interesse per questo aspetto della critica d’arte nel precedente Militanza artistica in Italia 1968-1972 nel quale, con ampi approfondimenti e cospicua documentazione, definiva la “militanza” attuata in quegli anni, analizzandola e contestualizzandola come elemento fondamentale nella nascita di nuovi rapporti tra arte, critica e società.1
Il volume ha dunque per oggetto l’opera critica di Maurizio Fagiolo dell’Arco (1939 – 2002) esercitata tra il 1964 e il 1980, anni individuati come corrispondenti alla sua militanza critica nel campo dell’arte italiana. Dopo una completa bibliografia degli scritti dell’autore, che comprende anche le monografie escluse nel libro, i testi sono presentati cronologicamente e divisi in settori tematici: I contemporanei, La generazione di mezzo, Per i maestri, La riscoperta dell’avanguardia, Alle grandi mostre e Temi, polemiche e voghe culturali. La scelta riguarda solo una parte limitata dell’ampia produzione ed è sufficiente a fornire testimonianza della vasta opera dello studioso e del suo pensiero critico; la divisione in gruppi è funzionale a dare conto della molteplicità degli interessi dell’autore e delle personalità artistiche da lui trattate.
Gli anni Sessanta e Settanta in Italia costituiscono un particolare periodo posto tra l’esperienza dell’Informale, oramai in via di esaurimento e di ridefinizione da parte degli stessi protagonisti, e un programmato recupero della figurazione mediante una rivisitazione della tradizione pittorica passata con la presenza del mercato sempre più centrale, spesso coadiuvato dall’attività critica curatoriale e dalla politica culturale istituzionale. I primi anni Sessanta vedono la formazione di un nuovo panorama artistico con caratteristiche assolutamente inedite e in sintonia con la vasta speculazione che coinvolge tutto il mondo artistico occidentale, sia europeo che nord-americano. Alcuni postulati propri delle avanguardie storiche sono ripresi e riformulati con soluzioni che travalicano il tradizionale concetto di arte. Le opere introducono novità formali, linguistiche, processuali e l’artista tende a ridefinire il proprio ruolo in rapporto alla società, al mercato e al pensiero critico. Quest’ultimo, prerogativa degli storici dell’arte di impostazione tradizionale, muta verso un differente approccio e apertura verso il contemporaneo in atto.
Già negli anni Cinquanta la sfiducia nella critica, per una sua assenza o ignoranza, aveva condotto gli artisti a farne a meno e a scrivere essi stessi autopresentazioni nei cataloghi, escludendo interventi altrui in occasione di mostre. I tempi sembrano essere maturi per un cambiamento e ciò che sta avvenendo nel campo dell’arte suscita, seppur cauto, interesse anche in storici della generazione precedente. Emblematico è il percorso critico dello storico Cesare Brandi, che nei primi anni Sessanta si “converte”, sconcertando il mondo accademico, all’arte di Alberto Burri, presentando nel 1963 con un suo testo le Plastiche, per poi dedicargli una monografia. Come anche quello di Giulio Carlo Argan, per molti anni accanto a Palma Bucarelli, direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, e titolare della cattedra di Storia dell’arte moderna a La Sapienza di Roma, che si mostra attento ai nuovi fenomeni artistici, documentandoli e presentandoli in testi di studio anche a grandissima diffusione per poi in seguito definirsi “archeologo dell’avanguardia”, ovvero segnando sempre più un allontanamento, anche a causa di crescenti impegni politici e istituzionali, da una scrittura sull’attualità artistica in essere.2
La nuova generazione di storici comprende che lo spazio da conquistare è accanto agli artisti, nonostante molti di essi siano diffidenti verso questa presenza intellettuale spesso contestata. Il loro ruolo emergente segna una divaricazione netta tra la figura di storico dell’arte, legato a una metodologia strutturata, tradizionale, derivata dalla ricerca accademica, e quella del critico, che assume sempre più un diverso protagonismo e la funzione di “militante”. Il termine, desunto dalla terminologia politica piuttosto che militare, è significativo di un comportamento inedito che deve essere adottato da chi scrive in un periodo in cui l’arte stessa deve adottare una strategia da guerriglia.3 La scrittura deve offrire certamente testimonianza del presente e nel contempo affiancarsi all’operato dell’artista, spesso condividendone la poetica, gli interventi e i risultati. Una posizione non più esterna e contemplativa alla ricerca dell’obiettività, non più possibile, ma interna al clima e al panorama che si va, di evento in evento, costituendo. Gli autorevoli precedenti di poeti e scrittori compagni di strada degli artisti sono conosciuti ma non imitati, poiché non è della scrittura poetica che vi è ora necessità: il ruolo della scrittura deve essere altro e la teorizzazione storica e aprioristica viene messa in discussione.
Il fenomeno investe l’Italia e contemporaneamente anche altre realtà europee e statunitensi.4 La scrittura dell’arte deve mutare ruolo, metodologia e linguaggio e non può più fornire “interpretazione” del fenomeno artistico. Germano Celant, giovane critico emergente e strettamente legato alla nascente Arte povera, riflette in più occasioni sulla definizione di “critica acritica” ponendo anche la questione della funzione del libro, del catalogo, delle immagini e dei testi e di una loro raccolta documentaria.5 In questi anni inizia a delinearsi la nuova figura del curatore, che assumerà su di sé altri impegni oltre quello della produzione del pensiero critico: egli diviene l’artefice dell’evento espositivo di cui cura l’organizzazione, la localizzazione e conseguentemente la scelta dei partecipanti, gli artisti, che possono essere anche distanti per tematiche e poetiche ma sono funzionali a una politica culturale propria del curatore, sempre più vicino al mercato, al collezionismo e alle istituzioni museali che stanno nascendo.
Maurizio Fagiolo dell’Arco è tra gli storici emergenti che hanno cercato di dare nuova vitalità al ruolo della scrittura critica. Fin dai primi Sessanta collabora con periodici e nel 1964 inizia una continuativa collaborazione con il quotidiano socialista «Avanti!», che negli anni sarà alternata e affiancata da quella con altre testate, come «Il Messaggero», e riviste di settore, come «Metro», «Marcatré», «Cartabianca» e «NAC». Egli non è il primo né il solo giovane che si occupa di recensioni di mostre sui quotidiani, continuando la via intrapresa già negli anni Cinquanta da altri giovani studiosi, come per esempio Lorenza Trucchi, che recensivano e segnalavano al grande pubblico le mostre e le novità dell’arte sulle pagine dei quotidiani, in anni in cui la pubblicistica di settore era restia ad accettare la nuova definizione di arte contemporanea e ancora sorda alle novità. Il ruolo svolto dai periodici a grande diffusione, quotidiani e settimanali, anche negli anni Sessanta è importante, poiché va a colmare un vuoto dell’informazione e dell’elaborazione di una speculazione critica sull’arte non storicizzata nel momento in cui accade.
Maurizio Fagiolo dell’Arco è testimone della scena artistica italiana e pubblica settimanalmente due, tre o quattro articoli su eventi che riguardano Roma e i principali centri di produzione artistica, quasi in un esercizio di scrittura quotidiana. Il suo interesse spazia dai giovani emergenti a quelli dal successo consolidato, dalle rassegne internazionali a eventi apparentemente meno importanti fino alle recensioni di saggi e libri appena editi. La sua prosa è esemplare per chiarezza e uso della terminologia e non indulge mai nella cronaca giornalistica né ostenta la presenza di una solida metodologia accademica d’indagine, che solo un’attenta analisi svela. Le riflessioni sono desunte dall’osservazione diretta delle opere e forniscono al lettore una chiave, certamente personale, per essere introdotti al fenomeno artistico in oggetto. La prosa, dato il contesto giornalistico, seppur lontana da quella specialistica, tende sempre a fornire una visione ampia del fenomeno e a incuriosire il lettore anche con dati sulla vita dell’artista, e narra la mostra sottintendendo la necessità dell’esperienza di una visione diretta delle opere. L’alta qualità degli articoli porta alla loro ripubblicazione in occasione di mostre monografiche di alcuni artisti6 e a essere integrati e raccolti nel 1966 nel volume Rapporto 60 / Le arti oggi in Italia, edito presso Bulzoni Editore. La scelta di trentadue artisti spazia dai più affermati Burri, Pomodoro, Accardi, Dorazio e Turcato ai più giovani Festa, Angeli, Schifano, Pistoletto e Ceroli. Fabio Belloni sottolinea la capacità di Maurizio Fagiolo dell’Arco di intervenire anche nel momento più specificatamente editoriale delle pubblicazioni da lui curate, in un periodo in cui l’editoria d’arte contemporanea viveva fasi pionieristiche. La capacità di scelta e controllo della parte iconografica come degli aspetti grafici e compositivi in sede editoriale, forse direttamente in tipografia, caratterizza un ruolo che i precedenti storici non avevano e che è prassi per i critici della sua generazione, prima che tale ruolo divenga appannaggio solo dei designer della casa editrice.
Appare in parte diverso il suo approccio alla scrittura critica nel caso dell’elaborazione di testi più corposi presentati sulle pagine di cataloghi editi in occasione di mostre monografiche: il linguaggio, pur non abbandonando la chiarezza espositiva, assume una diversa tensione rivelando spesso una maggiore partecipazione, a volte quasi empatica, alla poetica dell’artista. Ancor oggi stupisce la sua capacità di adottare una metodologia d’indagine che presti attenzione all’opera, quasi che sia quest’ultima a determinare di volta in volta le modalità di come essere indagata e presentata. Dimostrativo di questo, ma siamo già nel 1976, risulta Glossario, scritto per Giulio Paolini, che nasce «per la volontà di intervenire concretamente all’interno del lavoro d’un artista (e con la sua collaborazione)».7 Muovendo da un’opera di Paolini dell’anno precedente, titolata Glossario appunto, l’analisi delle venticinque tele è puntuale e fornisce un interessante esempio di come condurre un’analisi critica secondo modalità rigorose e «persino divertenti», come confessa lo stesso artista in quel testo.
La lettura degli articoli e dei saggi riportati nel volume permettono anche a chi non lo ha mai conosciuto di definirne il pensiero, le scelte e di tratteggiarne anche la personalità. Un’attenta opera di trasposizione e contestualizzazione, in gran parte suggerita da Belloni nel testo introduttivo, rivela le vicinanze e le divergenze da contesti culturali, da eventi pubblici e da posizioni teoriche di suoi colleghi dei quali a volte non condivide l’esito possibile. Nella lettura dei testi degli anni Settanta, si avverte l’insorgere di una velata sfiducia nei nuovi esiti dell’arte e nel ruolo della scrittura finora praticato. Il progressivo abbandono del ruolo militante della scrittura critica annunciato nel 1975 diviene sempre più palese nelle scelte delle mostre e degli artisti presentati negli ultimi articoli su «Il Messaggero» nel 1980. La sua assenza unita al silenzio su alcuni eventi, il declinare gli inviti a partecipare a mostre di altri colleghi, la motivata rinuncia ad assumere l’insegnamento nella cattedra di Storia dell’arte moderna, vinta all’università di Roma nel 1977, come la successiva e intensa attività nel campo della scrittura critica su movimenti e avanguardie storiche, sono segnali di una complessa personalità dal particolare rigore morale. I testi forniscono testimonianza anche di questo e la loro lettura oggi suscita un’articolata riflessione sia sul suo esempio, sia sul ruolo attuale del pensiero critico come sulla rivalutazione odierna di figure di storici e critici del passato recente.
Questo volume sugli scritti di Maurizio Fagiolo dell’Arco come pure il precedente di Belloni non rappresentano casi isolati di riflessione su quei complessi e fondamentali anni, ma fanno parte di un positivo fenomeno storiografico che si è sviluppato negli ultimi decenni, non solo in Italia, spesso con interessanti esiti editoriali. Le nuove potenzialità oggi disponibili semplificano la raccolta e l’archiviazione dei dati e la loro conseguente elaborazione, e permettono di acquisire un vasto e comprovato sguardo su un passato che certamente si presenta assai più multiforme di come appariva nel momento stesso del suo accadere. Studiosi, sia autonomi che istituzionali, e operatori del settore, come i galleristi e gli stessi artisti, mostrano sempre più il peculiare interesse alla rilettura storica di fatti degli anni Sessanta e Settanta, tra i più interessanti, complessi e fecondi periodi dell’arte italiana e internazionale. Antologie di testi di critici e di artisti, regesti di mostre, riedizione di cataloghi storici, monografie di singoli autori, gallerie d’arte, gruppi e movimenti, forniscono nuove possibilità di approfondimento e di studio stimolando sempre nuove riflessioni che si riverberano positivamente sulla cultura attuale.8 Queste pubblicazioni risarciscono la carenza di archivi pubblici e forniscono dati e informazioni verificabili a differenza di quelle presenti nell’incompleto seppur enciclopedico mondo informatico.
La grande quantità di materiali come inviti, manifesti, comunicati, pubblicazioni effimere, ha composto un panorama culturale solo in parte ricostruibile nei documenti presenti in pochi archivi pubblici. La difficoltà di accesso ad archivi privati, dove il prezioso materiale spesso si presenta accumulato secondo i più differenti e personali criteri, ne limita la conoscenza e diffusione. Una speranza per il futuro è l’aumento delle donazioni e dei lasciti testamentari a strutture che possono occuparsene grazie anche alle nuove possibilità di accesso a fondi, ancora esigui, previsti da bandi anche europei per progetti di valorizzazione tramite l’informatizzazione, la pubblicazione e mostre tematiche. Il patrimonio documentario potrebbe in futuro rispondere alle vaste e differenziate esigenze degli storici contemporaneisti, di numero ancora circoscritto, che si vogliono interessare alla storia più recente. Va notato che molti testi apparsi a stampa sono firmati da storici che all’epoca erano giovanissimi o che sono nati successivamente agli avvenimenti in esame e che quindi lo studio non risulta fuorviato dal coinvolgimento personale e possiede già la giusta distanza storica dai fatti accaduti. Lo studio diretto dei documenti e il loro riscontro con le testimonianze, seppur soggettive, possono ristabilire una possibile verità storica, sempre analizzata tenendo presente l’eventualità di una rilettura deviata dal pensiero dominante e dagli interessi mercantili. La pubblicistica di questo settore è fortunatamente in massima parte seria ma non mancano testi che propugnano revisioni, forniscono letture parziali e attuano dimenticanze a favore di una condizione dell’oggi in cui la memoria della storia e degli eventi del passato sembra avere sempre minor peso sulla formazione della contemporaneità.
Arte e Critica, n. 99, inverno – primavera 2023/2024, pp. 35-37.
1. F. Belloni, Militanza artistica in Italia, 1968-1972, L’ERMA di Bretschneider, Roma 2015.
2. G. C. Argan, “Funzione e difficoltà della critica”, in A. B. Oliva (a cura di), Critica in atto, Quaderni degli Incontri Internazionali d’Arte, Roma 1973.
3. G. Celant, Arte povera. Appunti per una guerriglia, in «Flash Art», n. 5, novembre – dicembre 1967, p. 5.
4. S. Sontag, Contro l’interpretazione (1966), Mondadori, Milano 1967.
5. Cfr. G. Celant, Per una critica acritica, in «Casabella», n. 343, dicembre 1969, pp. 42-44; G. Celant, “Premesso che”, in G. Celant, Arte povera, Gabriele Mazzotta Editore, Milano 1969; G. Celant, Information documentation archives, in «NAC – Notiziario Arte Contemporanea», n. 5, maggio 1971, p. 5.
6. M. Fagiolo dell’Arco, Il dramma fisico di Pistoletto, in «Avanti!», 7 maggio 1966, ripubblicato in G. Celant (a cura di), Michelangelo Pistoletto, catalogo della mostra, Galleria La Bertesca, Genova, dicembre 1966 – gennaio 1967, Edizioni Masnata/Trentalance, collana Edizioni di arte contemporanea, Genova 1966.
7. M. Fagiolo dell’Arco, “Glossario”, in Giulio Paolini, catalogo della mostra, Palazzo della Pilotta, Parma, marzo – aprile 1976, testi di M. Fagiolo e A.C. Quintavalle, Università di Parma – Centro Studi e Archivio della Comunicazione, Parma 1976.
8. Cfr. gli esempi: I. Bernardi, La Tartaruga. Storia di una galleria, Postmedia Books, Milano 2018; V. Boarini (a cura di), Il Notiziario della Galleria de’ Foscherari. 1965-1989, Bologna 2019; L. Fiorucci e A. Pesola (a cura di), Giovanni Carandente. Archives and Documents, catalogo della mostra, Palazzo Collicola, Galleria d’arte moderna Giovanni Carandente, Spoleto, 14 dicembre 2020 – 26 settembre 2021, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Milano 2021.