Per celebrare il conferimento del Premio Presidente della Repubblica 2016 per la Scultura a Respiro Castello di Rivoli, GAM di Torino e MART di Rovereto, l’Accademia Nazionale di San Luca ha invitato l’artista piemontese a concepire per gli spazi del borrominiano Palazzo Carpegna un allestimento che – come da ormai consolidata tradizione dell’istituzione romana – corrispondesse non soltanto al riattraversamento filologico di una lunga e straordinaria vicenda artistica, quanto soprattutto alla messa in luce di quei suoi nessi vitali ancora capaci di interrogare appieno il nostro tempo presente, e di rivelarne le più profonde e sottese tensioni.
Intitolata Giovanni Anselmo. Entrare nell’opera (dal titolo della fotografia del 1971, in cui l’artista è catturato in movimento sulla tela come un punto sull’immensità della Terra), la mostra restituisce l’intensità della ricerca di un artista poliedrico, tra i grandi protagonisti dell’Arte Povera. Dopo gli inizi come grafico pubblicitario, e le parallele sperimentazioni pittoriche da autodidatta, Anselmo trova elettive sintonie con la scultura, con le matrici concettuali e minimaliste. Sin dalla metà degli anni Sessanta, pone al centro della propria ricerca la tensione tra forze contrapposte, tra energie che scaturiscono dai materiali impiegati (dal metallo al cemento, dalla terra alla stoffa, alla pelle, al perspex) in relazione con l’energia della forza universale di gravità. Il suo lavoro appare da allora muoversi intorno alla costante attenzione verso la posizione degli elementi nello spazio, verso l’evocazione della parte per il tutto, che si esprime in equilibri instabili tra spinte opposte, laddove concetto e materia tendono verso una congiunzione poetica, mai retorica, sospesa tra finito e infinito, tra visibile e invisibile. La tensione nell’esperienza fisica della contrapposizione tra forze (come la lastra di perspex curvata da un tondino di metallo con le estremità ad uncino, Senza titolo del 1967) non si risolve mai in una didascalica o didattica sperimentazione di energie in bilico. Anselmo piuttosto informa enigmi, la cui soluzione non è la spiegazione della natura fisica delle forze in campo, quanto invece l’evocazione di un’aura di unicità e irripetibilità, così simile alle infinite manifestazioni del gioco della natura che si avvale sempre dei medesimi e semplici elementi di base. Elementi che assumono nelle sue opere la matericità del ferro e della stoffa di Torsione (1968), della spugna di mare di Respiro (1969), della pietra e del cavo d’acciaio di Verso Oltremare (1984), fino alla terra di Mentre la terra si orienta (1967-2019).
La regia con cui Anselmo induce ad “entrare nell’opera” percorrendo gli spazi di Palazzo Carpegna si è articolata nella disseminazione di 27 opere selezionate dell’artista tra le più significative della sua cinquantennale produzione, provenienti dalla sua collezione personale e da importanti istituzioni, gallerie e collezioni private italiane, tra le quali il Castello di Rivoli, GAM di Torino e MART di Rovereto.
Le diverse matrici concettuali delle opere installate sono entrate così in risonanza con la diversa natura degli spazi. Dalla prospettiva del portico di ingresso alle laconiche sale espositive, dal porticato al giardino abitato dalle sculture e dai fregi, risalendo l’elicoidale rampa borrominiana, le opere di Anselmo sono arrivate a insinuarsi negli spazi canonizzati della galleria accademica, instaurando con i diversi luoghi un asciutto, preciso quanto tensivo rapporto tra elementarità e complessità, capace di generare di volta in volta dimensioni altre.
Si declina così in rinnovate forme il rapporto tra massi consistenti e leggerezza che Anselmo compone in continue varianti mettendo in gioco l’idea di gravità, ora sospendendo le sue rocce in levitazione mediante ganci o corde di ferro, ora disseminandoli come fossero rocchi di colonne doriche scanalate, ruinate al suolo, evocando il tempo che agisce quale forza elementare della natura accolta nell’opera d’arte, là “dove le stelle si avvicinano di una spanna in più”.
Arte e Critica, n. 95, autunno – inverno 2020, p. 111.